giovedì 29 agosto 2013

SCRITTI: 1^ parte-Le Comunalie di Valditaro


Associazione Ricerche Storiche Valtaresi

"A. Emmanueli” - Borgotaro

                                                           Giacomo Bernardi


LE COMUNALIE DI VALDITARO:

una storia di 20 secoli

Presentazione

La montagna, intesa come insieme di rapporti uomo-territorio, ha subito le trasformazioni più profonde.

Se le città sono rimaste il luogo dei servizi, dei commerci, dell’industria, delle “comodità” e la collina il luogo delle produzioni agricole d’alta qualità: vino e olio in testa, la montagna non è più quella del passato.

Non solo perché le produzioni sembrano aver perduto valore economico, non solo perché oggi viene depredata delle sue acque, delle sue case, della sua quiete e spesso dei servizi che possedeva, ma anche perché antiche tradizioni e modi di vita, frutto di un rapporto d’affetto e di rispetto tra uomo e territorio, sono entrati in crisi profonda e stanno quasi per scomparire.

Questa pubblicazione ci riporta a pensare ad un passato che non ha soltanto un valore storico, ma che può essere d’aiuto per tentare di ricreare modelli di vita e di rapporti con l’ambiente naturale, capaci di ridare vita alla montagna.

L’Associazione A. Emmanueli

Introduzione

Questa pubblicazione non vuol vantare particolari pretese. La storia delle Comunalie merita ben altri approfondimenti.

Ho soltanto inteso, con questo contributo, colmare un vuoto della storiografia locale che poco, o nulla se si esclude Tommaso Grilli, ha espresso sul tema “comunalie”.

Da qualche anno, in specie nell’arco alpino, si vanno intensificando incontri, comunicazioni, ricerche indirizzate a riscoprire le origini e le prospettive di quel complesso di ordinamenti che vanno sotto il nome di proprietà collettive,

Il mio augurio è che questa pubblicazione, nel ricordare agli utenti e agli Amministratori pubblici quale grande e lunga storia abbiano alle spalle le nostre Comunalie, sia occasione per aprire, anche da noi, un dibattito su queste importanti realtà che posseggono enormi potenzialità tutte da studiare.

Forse, per salvare la montagna dalla sua lenta agonia, per sperare in una sua ripresa, occorre prima di tutto riscoprire le forme più antiche dell’abitarvi e ritrovare quegli antichi modelli di convivenza che hanno permesso agli uomini del monte di vivere per secoli in armonia con il loro ambiente.

Borgotaro, nel dì di San Giovanni Crisostomo del 2002

                                                                                                                Giacomo Bernardi



A s p e t t i   s t o r i c i

I LIGURI


L’ampia fascia boschiva che dall’altezza di 600/700 metri raggiunge gli alti crinali dell’Appennino e si stende compatta sulla sponda destra del fiume Taro, tra i torrenti Cogena e Gotra, appartiene quasi interamente, e pro indiviso, alle Comunalie di Baselica, Pontolo, Valdena, San Vincenzo, Rovinaglia(in Comune di Borgotaro) e di Gotra, Buzzò, Albareto, Boschetto, Tombeto, Groppo e Montegroppo(in Comune di Albareto) ed è goduta, da tempo immemorabile, dagli abitanti di quelle frazioni.

I beni della proprietà collettiva sono inalienabili e indivisibili, ciò comporta la trasmissione del diritto di compartecipazione ai discendenti degli abitanti originari.

Tali territori, pur appartenendo alla provincia di Parma, sono collocati quasi a cavallo di tre regioni: Emilia-Romagna, Liguria e Toscana ed erano, in età pre-romana, abitati dal popolo dei “Liguri” come è testimoniato, tra l’altro, dalla presenza di numerosi e significativi toponimi ed in special modo dal dialetto che ancora vi si parla, ricco di vocaboli e suoni liguri.

Questi antichi abitatori della Valtaro che, secondo Polibio, erano una diramazione dei Celti, vengono descritti da diversi storici romani(Tito Livio, Procopio, Strabone, Floro). Di loro si è scritto che fossero tarchiati e muscolosi, che vivessero di agricoltura e pastorizia e si cibassero essenzialmente di latticini e carne. Usavano come bevanda una specie di birra ottenuta con orzo fermentato e abitavano in caverne o capanne in muratura di pietra a secco con tetti di paglia.

Vivevano in stato di semi-nomadicità e in battaglia erano molto abili e, pur non avendo né la forza né l’organizzazione dei Romani, tennero loro testa per decenni.

Nel combattimento ricorrevano spesso agli agguati: attaccavano di sorpresa per poi scomparire tra le folte boscaglie dei monti.

In genere, gli scrittori latini misero in cattiva luce i Liguri e li descrissero come sleali, scaltri e illetterati. “E’ più difficile scovarli che batterli”, scriveva uno storico.

La ragione di ciò va ricercata forse nel fatto che i Liguri seppero impegnare a fondo l’esercito romano, quell’esercito che già aveva domato gli altri popoli dell’Italia, cacciato i Cartaginesi dalla Sicilia, sparso il terrore fin sotto le mura di Cartagine, ma che ancora non riusciva a domare un popolo di montanari malamente armato di archi e fionde.

Tito Livio afferma che per assoggettarli se ne dovettero trapiantare cinquantamila nel Sannio. Numero che pare alquanto sproporzionato a fronte di quella che doveva essere la consistenza della popolazione dei Liguri.

Erano divisi in varie tribù e la loro resistenza, nella zona che ci riguarda, terminò nel 157 a.C.

E’ assai probabile che l’origine delle Comunalie Valtaresi, ossia l’utilizzo in comune della proprietà, risalga alle usanze di questo popolo presso il quale il godimento dei beni era comune e le popolazioni che erano seminomadi fruivano del bene terra nell’insieme della tribù.

Soltanto in epoca successiva, con la colonizzazione romana decisa assertrice della proprietà individuale, le tribù liguri, ormai domate e romanizzate, si stabilizzeranno in nuclei abitati e i terreni coltivati nelle immediate vicinanze delle abitazioni diventeranno proprietà dei singoli, mentre quelli più lontani, ed in specie i boschi fino ai crinali, continueranno ad essere goduti in comune dall’insieme della tribù. Ciò sembra trovare conferma in due importanti ritrovamenti epigrafici risalenti al periodo romano.

I ROMANI

Se i Liguri non hanno lasciato documentazione scritta d’alcun tipo, ne hanno però trasmesso a noi i Romani, i quali, in particolari circostanze, affidavano a tavole di bronzo alcune testimonianze di specifico rilievo.

Al caso, ma anche alla perspicacia di alcune persone illuminate, si devono il ritrovamento e la salvaguardia di due importanti epigrafi dell’epoca romana, che ci donano un po’ di luce su un periodo e su temi altrimenti avvolti nelle nebbie di un lontano passato.

Il primo ritrovamento, avvenuto in Valpolcevera presso Genova, si rifà al tempo in cui i Liguri erano stati da poco assoggettati dai Romani. Si tratta di una tavola bronzea, comunemente conosciuta come “Sententia Minuciorum”, risalente all’anno 117 a.C. sulla quale sta scritta una sentenza dei giudici romani in merito ad una vertenza sorta tra due tribù dei Liguri.

Sulla tavola si può, tra le altre cose, leggere: “…nessuno abbia possesso in quel terreno se non in maggioranza...quel terreno sarà pascolo comune(ager compascuos erit), in esso sia lecito che Genovesi e Veturii pascolino il bestiame così come in tutto l’altro terreno comune al genovese; nessuno proibirà, nessuno farà violenza né impedirà di prendere da quel terreno legna da ardere o da costruzione e di usarla”.

Questo documento epigrafico, che risale a oltre duemila anni fa, è di particolare e significativa rilevanza perché testimonia l’utilizzo in comune, da parte delle tribù liguri, di un vasto territorio nel quale tutti sono autorizzati, senza impedimento alcuno, a pascolare il bestiame, prelevare legna da ardere e da lavoro, che sono gli stessi diritti di cui godono ancora oggi gli utenti delle Comunalie di Valditaro.

Il secondo importante ritrovamento si riferisce alla famosa Tavola Alimentaria, rinvenuta a Veleia(PC) nel 1747, della misura di metri 2,86 x 1,38, che si trova oggi presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma.

Essa reca incisi due “decreti” dei Decurioni di Veleia risalenti al 112 d.C., epoca in cui l’Alta Valtaro faceva parte di quel Municipium .

Siamo a circa 300 anni dalla data della “Sententia Minuciorum

I due “decreti” avevano un unico scopo: quello di obbligare un certo numero di grandi proprietari a ricevere a censo una somma corrispondente, all’incirca, alla decima parte del valore del loro patrimonio, affinché con gli annui frutti da loro dovuti si potessero mantenere circa 300 minori bisognosi.

Sulla Tavola sono meticolosamente incisi i nomi dei proprietari individuati per l’obbligazione, i nomi dei luoghi in cui si trovano le loro proprietà, quello dei confinanti, il tipo di proprietà.

Se ne ricava una vera e propria carta topografica che si stendeva dalla città di Veleia fino ai Municipi confinanti di Parma, Piacenza, Lucca e Libarna.

La Tavola dimostra la lungimiranza e la sensibilità dei nostri antenati nei confronti dell’infanzia abbandonata o comunque povera e bisognosa. Ma ci permette anche di conoscere a fondo l’organizzazione amministrativo-territoriale del Municipio Veliate(assimilabile ad una Provincia odierna) che risulta suddiviso in “pagi”(assimilabili agli odierni comuni), e in “vici” (assimilabili alle frazioni).

Nell’elencare le proprietà da “ipotecare” se ne specifica la tipologia secondo le denominazioni del tempo e cioè: “praedia”(possedimenti sia urbani che rurali), “fundi”(poderi rustici), “silvae”(selve o foreste), “saltus”(pascoli gerbidi o boscaglie). In molti casi le varie proprietà risultano essere confinanti non con i beni di un altro proprietario, ma con possedimenti detti “comuniones” che chiaramente si riferivano alle proprietà comuni, a dimostrazione che anche nel periodo romano, qui come in Valpolcevera, erano rimaste in vigore le antiche usanze dei Liguri.

Anche se non sempre è facile far corrispondere i toponimi contenuti nella Tavola a quelli odierni, tuttavia gli studiosi sono concordi su alcune corrispondenze che riguardano la Valtaro.

Al “saltus Bitunias”, citato nella Tavola, tutti collegano il nome dell’odierna Bedonia. Vi è poi, sempre nell’epigrafe la voce “Tarsuneo”, toponimo che non abbisogna di eccessiva fantasia per essere collegato a Tarsogno.

Inoltre, escludendo tutte le altre interpretazioni che possono sollevare il minimo dubbio, ci sono almeno altri due toponimi che, senza incertezza alcuna, si riferiscono al territorio del Comune di Borgotaro.

Uno è “Tarbonia” che è l’odierna Trapogna situata in Val Vona, l’altro è “Taxtanulas” che è riferito a Testanello di Tiedoli.

Questi riconoscimenti confermano l’appartenenza della Valtaro al Municipio Veliate nel cui territorio, come abbiamo visto, erano presenti fondi e proprietà citate come “comuniones” e “compascua”, in continuità con le precedenti testimonianze.

I LONGOBARDI

Le invasioni che seguirono la caduta dell’Impero Romano, si presume non abbiano modificato gli usi preesistenti, anzi con l’arrivo dei Longobardi è assai probabile che il principio della collettività fondiaria si sia ulteriormente consolidato trovando rispondenza favorevole in quelle che erano le abitudini e le tradizioni dei popoli germanici.

E’ risaputo che quella dei Longobardi fu migrazione di un intero popolo. Giunsero in Italia nel 568, guidati dal loro Re Alboino. Pare fossero in 200.000, con donne, vecchi e bambini. Prima di abbandonare la loro terra avevano bruciarono i loro villaggi e tutto ciò che possedevano come segno che non sarebbero più tornati.

In poco tempo conquistarono quasi tutta l’Italia settentrionale.

Consideravano il suolo come proprietà collettiva che apparteneva alla tribù, alla “fara”, mentre i singoli individui non ne avevano che il godimento temporaneo. Come tra tutti i popoli Germanici, l’ideale dell’uomo era quello della guerra e nei brevi intervalli la caccia. Il lavoro dei campi era invece ritenuto inadatto, quasi disonorevole.

Per questo, durante tale periodo, gli unici soggetti dotati di tutti i diritti erano gli arimanni(gli uomini dell’esercito), i guerrieri.

La dominazione longobarda influì più di ogni altra sull’evoluzione della società medioevale, incidendo in modo particolare sul territorio e non sulle città che essi evitavano.

Pochi, se non gli studiosi, sanno che i primi documenti Longobardi dell’Italia Settentrionale giunti fino a noi, sono stati trovati a Varsi a testimonianza che le nostre zone videro la presenza di quella popolazione.

Ed è quindi naturale ch’essi abbiano rafforzato, se non istituzionalizzato, il concetto della proprietà collettiva da noi già presente.

Di questo periodo ci sono giunti, come detto, alcuni documenti, tra i quali il più importante per noi pare essere quello riferito alla risoluzione di una lite intervenuta tra i Gastaldi di Parma e Piacenza per questioni di confine.

Il territorio conteso tra i due alti funzionari longobardi era in buona parte situato in Valtaro e la deliberazione presa nell’anno 674 dal Re Longobardo Pentarido, per porre fine alla lunga diatriba, cita molti toponimi che ci riguardano da vicino.

Nel suo intervento, infatti, il Re sentenzia che la linea di confine tra i due contendenti debba essere quella segnata dall’allineamento che partendo da Specchio(Solignano), va a Pietramogolana(Berceto), per seguire quindi il corso del fiume Taro fino alla confluenza del Gotra, per proseguire poi lungo il corso di quest’ultimo, fino al monte Gottero.

Dice il testo: “…et inde in Monte Specla, illa parte Cene, ubi termine stat, deinde in Monte Caudio et Petra Mugulana, quod est super fluvio Taro, et illa parte Taro per rivo Gautera”.

Fa un certo effetto questo accenno a luoghi che conosciamo, in un documento che risale a quasi 1300 anni fa.

Ancora oggi, a tanti anni di distanza, la decisione adottata dal Re longobardo trova riscontro nella confinazione diocesana. Così tutte le parrocchie poste sulla sponda sinistra del Taro e del Gotra, pur appartenendo alla provincia di Parma, fanno parte della diocesi di Piacenza. E’ il caso, per citarne alcune, di Borgotaro, Tiedoli, San Pietro, San Martino, Caffaraccia, Brunelli, Porcigatone, in Comune di Borgotaro e di Campi, Pieve di Campi, San Quirico, Folta, Tombeto, Codogno, Cacciarasca, Groppo e Montegroppo in Comune di Albareto.

Per contro le parrocchie di Albareto, Gotra, Buzzò, Valdena, Baselica, Belforte e Gorro, poste sulla destra dei due corsi d’acqua appartengono a diocesi diverse da quella piacentina.

Il documento di Pentarido ci fornisce altre importanti informazioni sulla zona perché riferisce che la controversia venne risolta in base alle indicazioni fornite da anziani pastori che conducevano per quei luoghi mandrie di porci selvatici. Non si fa quindi riferimento a singoli proprietari o a confini segnati con termini, ma a porcari che sembrano muoversi liberamente in terreni di proprietà comune.

E’ presumibile che allora buona parte della Valtaro apparisse come un immenso mare di alberi, dove era difficile muoversi ed orientarsi se non per coloro che vi guidavano i porci selvatici alla ricerca di ghiande e faggiole. Ed è comunque preziosa la testimonianza che già allora l’economia legata al bosco avesse grande importanza. Non si spiegherebbe altrimenti una lite di tale durata che rese necessario l’intervento personale del Re.

Nel primo medioevo grande incidenza, anche sotto l’aspetto economico, ebbero gli Enti ecclesiastici particolarmente ricchi e potenti nella nostra zona, cosicché intorno al mille il paesaggio cominciò ad animarsi della presenza sempre più fitta di chiese, oratori, monasteri, ospizi che avevano proprietà ovunque e intorno ai quali andavano formandosi nuclei abitati.

La necessità di lavorare i terreni spinse sempre più verso l’alto gli insediamenti e si andavano così formando i primi nuclei rurali abitati, anche se il paesaggio rimaneva sempre dominato dalla vastità delle selve.

Questa ampia estensione, quasi del tutto incolta, era frequentata da cacciatori, boscaioli, pastori, pescatori che trovavano di che vivere, in queste immense proprietà comuni, in presenza di una economia ancora primitiva.

Ed invero, qui come altrove, la proprietà collettiva, ossia il godimento comune dei boschi e dei pascoli, ha rappresentato per lunghi secoli la fonte essenziale dei mezzi di sussistenza della gente di montagna.

CARLO MAGNO E IL FEUDALESIMO

Quando i Franchi, guidati da Carlo Magno, spazzarono via dall’Italia Settentrionale l’intero popolo longobardo, facendo prigioniero anche il loro Re Desiderio(773-774), cominciò la lenta trasformazione di quello che poteva dirsi il “modello” longobardo di società. Il primo risultato di questa lenta trasformazione fu la sparizione, in tutta la pianura padana, delle proprietà collettive

L’affermarsi del fenomeno del Feudalesimo, prima e delle Signorie poi, portò profonde modifiche anche in montagna, al regime delle proprietà collettive: molte sparirono, altre vennero assorbite in diversi sistemi economici.

Si salvarono quelle aree, come la nostra, in cui la povertà delle risorse, forse, scoraggiò la cupidigia dei potenti.

Ma la sopravvivenza da noi delle proprietà comuni si deve anche alla straordinaria coesione che vi era tra le “famiglie” longobarde che approfittando dell’interesse che i Franchi rivolgevano unicamente verso le città e la pianura seppero sopravvivere alla disfatta, rimanendo unite e quasi isolate tra i monti, conservando tradizioni e costumi ai quali anche la nostra gente si era assuefatta.

Numerosi toponimi che si riscontrano nelle valli del Taro e del Ceno comprovano questa presenza. A Bardi è citata una “silva arimannorum”, mentre “il nome stesso di Bardi coincide con il nome etnico dei Longobardi1.

Così nelle carte medioevali dell’Archivio della cattedrale di Piacenza, provenienti da Bardi, Varsi e Vianino, leggiamo nomi prettamente longobardi: Romoald, Ansoald, Auda, Willipert, Willimo ecc.

Negli atti di un processo databile in uno degli anni dall’878 all’884, ventun uomini di Bedonia dichiarano pubblicamente di essere liberi di nascita e non servi di una grande azienda di Bedonia per la quale lavorano. La protesta risulta non fondata e i poveracci debbono accettare la condizione servile. Ma non è tanto il risultato del processo che qui ci interessa, quanto il fatto che a cento anni dall’avvento dei Franchi i nomi dei ricorrenti siano ancora di chiara matrice longobarda. Nel documento, infatti, si elencano i seguenti nomi:Wilperto, Angelberto, Leoprando, Gauso, Alperto, Suniverto, Wilprando, Magiverto, Ingeverto, Angelberto ecc.

Scrive Fumagalli2: “La grande proprietà fondiaria, affermatasi vigorosamente nella collina e soprattutto nella pianura, rappresentò nelle montagne un fenomeno contenuto, limitato dalla resistenza della piccola e media proprietà. La stessa natura disagiata del territorio montano, le sue asperità, le sue balze, le ripide coste, le groppe strette e allungate dei rilievi non offrivano spazi ampi, quelle distese aperte, piane e compatte che invece la pianura prestava all’impianto delle grandi tenute agricole. Se sul monte i signori del cosiddetto “secolo di ferro” avevano le loro fortezze più sicure e temibili, gli stessi solo nella pianura tendevano ad accumulare le corti più redditizie, estese migliaia di ettari.

La persistenza massiccia della media e piccola proprietà in montagna significò qui una continuità intramontabile e più forte che altrove della folla degli uomini liberi, quelli che vengono detti non di rado nei documenti “arimanni”. Noi li vediamo stretti intorno ai loro beni comuni, come alla “selva degli arimanni” ricordata nell’atto di acquisto del castello di Bardi…”

L’IMPERATORE FEDERICO II

Ad interrompere l’uso pacifico delle proprietà comuni intervenne l’Imperatore Federico II, il quale passando per Pontremoli nel luglio del 1226 “ fu ivi da’ Pontremolesi accolto con sommo onore e singolare dimostrazione d’allegrezza onde per ricompensa concesse alla comunità il libero possesso di tutta la Giurisdizione co’ suoi confini, ed altre grazie3…”

In realtà l’Imperatore, male informato o ingannato da quei di Pontremoli, con il suo privilegio4 attribuiva a quel comune, per quanto riguarda la parte che interessa il valtarese, tutto il territorio compreso “…a Monte Rotondo et a Monte Goteri intra versus eundem locum Pontremuli: item a loco illo citra qui dicitur Capra Morta, et a fumine Tarodine citra, sicut dividuntur terrae Placentinorum a terris Communis Pontremuli prout terras ipsas per prenominatos fines iuste hactenus tenuisse noscuntur…”. Il che tradotto suona così: “ Confermiamo a loro e agli eredi e ai loro successori tutte le terre che sono divise da questi confini…dal monte Rotondo e dal monte Gottero verso il luogo stesso di Pontremoli: ugualmente da lì fino al di qua del luogo detto Capra Morta e al di qua del fiume Tarodine…”.

I Pontremolesi venivano quindi autorizzati a godere delle selve poste ben al di là della tradizionale linea di confine situata lungo il crinale, ad acqua pendente.

Il riferimento, alquanto vago, al torrente Tarodine, affluente del fiume Taro, senza precisarne un punto di riferimento, forniva il pretesto ai Pontremolesi di spingersi per qualche chilometro nel cuore della giurisdizione di Borgotaro. Ciò “ diede origine ad una infinità di discordie e di dissenzioni che si andarono pericolosamente acuendo allorché all’interesse di pochi villaggi si venne ad aggiungere quello della giurisdizione di due stati: il Ducato di Parma e il Granducato di Toscana5.

Nel frattempo mentre nelle zone della collina e della pianura, per la loro migliore adattabilità ad essere coltivate, si andava affermando un’economia sempre più agricola, i territori montani sempre più si chiudevano in difesa delle loro tradizioni e modi di vita.

Così da una parte s’andavano formando le grandi proprietà fondiarie, mentre da noi il fenomeno era contenuto dalla resistenza opposta dai piccoli proprietari che si sottrassero alle avide attenzioni dei vari signorotti. Ciò favorì il mantenimento dei beni comuni con grande beneficio delle nostre popolazioni.

Significativa è, a tal proposito, una sentenza emessa nel 1351 da Galeazzo Visconti, Duca di Milano, a quel tempo signore tanto della terra del Borgo Val di Taro, quanto di quella di Pontremoli in Toscana, confinanti tra loro, come s’è detto, lungo il crinale dell’Appennino.

Per dirimere l’ormai ricorrente e secolare lite tra le due popolazioni, così si esprime la sentenza: “…cum inter communes et homines praedictae terrae nostrae Pontremolui, ex una parte et habitatores terrae nostrae Burgi Vallis Tari ex altera, pluriers temporibus retroactis fuerint ortae discordiae et adhuc vigeant et maxime occasione finium inter utramque terram existentium…” e così decide “…quod homines Pontremoli et districtus habeant et habere debeant usum silvae seu boschi de Tocherio, quantucunque sit, ita quod possint incidere, pascolare, laborare, buscare et lignamina estrahere de dicta silva seu boscho de Tocherio ad suam liberam voluntatem6

La qual sentenza non poteva certamente riguardare una lite confinaria di carattere amministrativo, in quanto il Duca era Signore delle due Giurisdizioni, e inoltre si fa preciso riferimento alle due parti in causa: “communes et homines Pontremoli, ex una parte” e “habitatores…Burgi Vallis Tari, ex altera…” con ciò risultando chiaro che il Duca interveniva a regolamentare l’uso della proprietà collettiva tra due popolazioni confinanti e non si citano singoli proprietari.

Infatti con la sentenza si giungeva a permettere ai Pontremolesi di varcare i limiti della loro giurisdizione per godere dei boschi di Tocherio benché questi ultimi fossero collocati nel territorio della giurisdizione borgotarese.

E’ interessante notare anche la precisione con la quale, nella sentenza, si enumerano le attività che si potevano esplicare nelle comunalie: tagliare, pascolare, lavorare, “sramare”, far legna. Par di leggere la Tavola bronzea di Valpolcevera di millecinquecento anni prima!


I FIESCHI

Nei Capitoli aggiuntivi agli Statuti della Comunità di Borgo Val di Taro7 si legge che nel 1539 due rappresentanti della stessa, nel presentare al Principe Luigi Fieschi alcune richieste chiedevano, tra l’altro, che le ville potessero nelle loro Comunalie(in earum communibus o communionibus) pascolare e che non fosse concesso alle ville di far pascolare bestie “extranee” in dette Comunalie.

Rispondeva il principe: “ Quod ville possint pascolare secondum consuetum nihil ex consuetudine innovetur et quod bestie extere non conducatur placet et conceditur ”.

Il Principe rispondeva quindi che le ville potevano pascolare secondo consuetudine e che non era permesso introdurre usi nuovi in contrasto con tale consuetudine. E aggiungeva che le bestie estranee non si potevano condurre.

Dal che si può dedurre come a quei tempi la consuetudine fosse la sola norma che veniva praticata nel godimento delle proprietà comuni di quei monti. E significativa, a tal proposito, è la risposta che il Principe Fieschi dà ai rappresentanti della Comunità di Borgotaro, lasciando chiaramente capire che da parte sua non vi è intenzione alcuna di andare a modificare quelle che erano le consuetudini in vigore.

Risale a qualche anno dopo, una testimonianza relativa alla presenza della Comunalia di Volpara, nel vicino Comune di Bedonia. In un atto steso dal notaio Giacomo Scopesi, tra gli anni 1540 e 15468, si può leggere: “Comunagia Vulparia. Terrae et proprietas gerbidae, bojive et boschivae quae aduc tenentur et possidentur in comunione coniuncta et indivisim per homines de villa Vulparia…” Si fa riferimento, quindi, alla Comunalia di Volpara e si precisa che le terre e i boschi sono posseduti in “comunione coniuncta” e per indiviso dagli uomini di quella frazione. A dimostrazione che nonostante il susseguirsi in zona della presenza di diversi Principi, Duchi o Signori(Landi, Fieschi, Visconti, Sforza ecc.) sempre furono lasciati in godimento agli abitanti delle varie ville quei terreni che costituiscono le odierne comunalie. Emerge altresì come i vari signori si siano ben guardati dal regolamentarne l’uso, affidandosi invece alle consuetudini. Anche se ciò contribuì al sorgere, quasi ovunque, di liti e questioni tra ville diverse, specialmente là dove i confini non erano naturali e quindi dubbio diveniva il possesso.


I FARNESE

Quando, dopo il Concilio di Trento, cominciarono a costituirsi le prime parrocchie, i beni comuni posti all’interno dei confini delle stesse, venivano come svincolati dalla grande proprietà comune, di modo che gli abitanti di ogni parrocchia riconoscevano e godevano i propri e gli abitanti dell’una non avevano più diritti nei beni dell’altra, come dimostra il documento relativo alla Comunalia di Volpara.

Nel corso del XVII secolo ripresero spinta le controversie relative ai confini tra Pontremolesi, e Zeraschi da una parte e Borghigiani dall’altra, specie nelle zone di competenza dei frazionisti di Pontolo, Valdena, Buzzò e Albareto.

Le violenze, le rapine, le distruzioni, gli incendi messi in atto dall’una e l’altra parte furono tali da indurre Padre Paolo Segneri, famoso predicatore di missioni, ad intervenire. Il Gesuita si trovava a predicare in Valtaro9 e notando quale fonte di continue perturbazioni ed inimicizie fosse tale contesa, giovandosi della non poca influenza ch’egli era in grado di esercitare nei confronti del Duca di Parma e del Granduca di Toscana, propose ai due l’idea di ricorrere ad un arbitrato, considerato che non erano in grado di dirimere la questione.

Alla fine, dopo varie resistenze, i due accettarono e l’arbitrato venne poi affidato alla Serenissima Repubblica di Venezia10 La sentenza venne emessa nel 1689, dopo due anni di istruttoria, ma alla fine il Senato veneziano decise a favore delle ragioni dei Borghigiani.

Al di là dei nuovi confini tracciati in base alla sentenza, è interessante qui riportare le parole con le quali Ranuccio Farnese, Duca di Parma e nostro principe, portava a conoscenza del Commissario di Borgotaro l’esito favorevole dell’arbitrato.11

Scriveva il Duca: “…Potrete aggiungere a cotesta Comunità che saremo sempre ugualmente disposti a sostenere ogni loro diritto ad egual costo, et a pari impegno per dar sempre a cotesti amati sudditi ogni più vivo contrassegno della nostra benevolenza…”.

Dal che si deduce che in discussione non erano tanto gli interessi territoriali del Ducato che qualche fetta di bosco non avrebbe certamente intaccato, ma i diritti degli uomini di Pontolo, Valdena, Buzzò e Albareto a godere, come sempre era avvenuto, delle loro proprietà comuni, senza dover dividere tale godimento con le popolazioni d’oltre crinale.


UN DOCUMENTO SECENTESCO

Un importante documento relativo alla Comunalia di Pontolo, viene riportato dal parroco del tempo Gian Franco Varsi nel suo censuale. Si tratta di un atto notarile, datato 18 marzo 1679, che riferisce come gli abitanti di quella villa, si siano riuniti in assemblea, per “decidere gli infrascritti capitoli, transazioni, patti e accordi”.

Tra i vari punti approvati, in uno si dice:

Che alcuno forestiere, che di presente habita nella ditta Villa, e nell’avvenire vi habiterà, non possa lavorare, nè intrare nelle Comunaglie di detta Villa, e questo sotto pena di quattro scudi d’oro12…”

Dal che si può intuire che non vi fosse allora un regolamento e che il diritto ad “intrare” nelle comunalie fosse quanto meno contestato anche ad alcuni abitanti della villa.

Infatti i presenti all’atto notarile “affermano e protestano che sono e rappresentano la parte maggiore e più sana di detta Villa, e che al presente non vi è alcun altro in detto luogo che possa essere comodamente convocato”.

Le casate presenti erano 13 e vale la pena citarle: Mortà(Mortali), Molinari, Belli, Zanoni, Morelli, Orlandazzi, Stabielli, Arioli, Cacchiani, Zucconi, Delnevo, Baldini, Della Pina ed è chiaro che si ritengono il nucleo storico della frazione e per ciò unici ad avere diritto a sfruttare le comunalie.

Nel 1803, il Parroco, al quale era stata negata l’autorizzazione ad entrare nelle comunalie per prelevare legname da servire per la chiesa, prende spunto da questo atto notarile per contestare la decisione delle famiglie “storiche”. Scrive che delle tredici casate di allora, ne sono rimaste presenti nella frazione soltanto sette. Sei casate sono invece scomparse.

Ora, in base a quell’atto, soltanto sette famiglie avrebbero diritto alle comunalie. E se ne fosse rimasta presente una sola, forse soltanto a questa spetterebbe il diritto di entrarvi? E come si giustificherebbe il nome “comunalia” con il fatto che una sola famiglia godrebbe di tale diritto?

Il Parroco fa poi presente che, in realtà, all’epoca(1803) c’erano altre casate che pretendevano di aver diritto, ossia: Celi, Accorsini, Costella, Granelli, Brandini, Camisa, Spagnoli, Piscina. Nessuno si opponeva e invece si negava il diritto al Parroco.

Come si vede i problemi legati a chi avesse o meno diritto all’accesso alle comunalie non erano pochi.

Frequenti erano anche i dissidi con gli abitanti d’oltre crinale che spesso, come dimostra la mappa, non disdegnavano di oltrepassare i confini per sfruttare anche terre d’altri.

L’IMPERO FRANCESE

All’inizio dell’Ottocento vi fu un serio tentativo di porre fine all’esistenza stessa delle Comunalie.

Come si sa, Napoleone Bonaparte nel 1804 divenne Imperatore dei Francesi e cominciò a rimodellare l’Italia secondo suoi disegni particolari.

Nel 1805, per ragioni strategiche, staccò Borgotaro, Compiano e Bardi dal territorio dell’ex Ducato di Parma, per incorporarli nell’Impero Francese, assegnandoli al Dipartimento degli Appennini. Da quel momento e fino alla caduta di Napoleone(1814), i borgotaresi divennero cittadini francesi a tutti gli effetti.

Il Dipartimento degli Appennini aveva la Prefettura a Chiavari e la Sottoprefettura a Borgotaro.

Ma i mutamenti non si fermarono qui in quanto Napoleone diede nuovi confini ai comuni esistenti, e ne creò di nuovi. Venne infatti costituita la “commune” di Valdena che comprendeva tutti i territori posti sulla destra del Taro che oggi appartengono ai Comuni di Albareto e Borgotaro, con esclusione di quella parte che oggi forma le frazioni di Belforte e Gorro, allora nella giurisdizione di Berceto.

Primo “Maire”, ossia Sindaco, del Comune di Valdena fu un certo Luigi Barbieri il quale può essere considerato, alla luce dei documenti che si conoscono, il salvatore delle Comunalie.

Correva l’anno 1807, quando l’Amministrazione Generale delle Foreste Francesi, rappresentata in loco dal Sotto-Ispettore Giovanni Alpi, sostenne che tutta la fascia boschiva compresa tra il monte Molinatico e il Centocroci fosse di proprietà della camera Ducale di Parma e quindi, come tale, dovesse passare direttamente al Demanio Imperiale Francese. Ne prese, pertanto, possesso così che chi volle utilizzare quei boschi dovette pagare un affitto per i pascoli o una somma a seconda del quantitativo, per chi voleva far legna.

Contro tale arbitrio ricorsero Luigi Barbieri, Maire del Comune di Valdena e il suo “aggiunto” Domenico Bosi, i quali presentarono al Prefetto di Chiavari, avente giurisdizione sulla Valtaro, quattordici “documenti autentici” attestanti i diritti degli abitanti di quelle frazioni.

Nel ricorso si rivendicava “la proprietà dei monti cominciando dal torrente Cogena…fino ai confini di Varese Ligure… proprietà contrastata dall’Amministrazione Generale delle Acque e Foreste, avendo essa dichiarato i monti Foreste Imperiali, sottoposto il pascolo ad affitto, privato quelle popolazioni di un diritto dalle stesse acquisito da parecchi secoli”.

Così il Consiglio di Prefettura di Chiavari il 18 marzo 1809 decretava che “la parte dei Monti Molinatico, Borgallo e Gotra(forse per Gottero) sul declivio verso Borgotaro e fino alla loro sommità, cominciando dal torrente Cogena…è dichiarata una proprietà comunale e particolare degli abitanti delle diverse parrocchie…come è stata considerata da parecchi secoli fino al presente, senza la menoma contraddizione”.

Il 18 gennaio 1810, al sottoprefetto di Pontremoli13 perveniva da Parigi una comunicazione dal Ministro delle Finanze francese, Ledae U. Faite, nella quale si diceva: “Voi m’avete comunicato due decreti fatti dal Consiglio di Prefettura del vostro Dipartimento con i quali i Comuni di Valdena e De Sopra la Croce(Tornolo) sono stati mantenuti nel possesso di una porzione di boschi considerevole. I documenti presentati da questi comuni all’appoggio dei loro reclami giustificano a sufficienza i loro diritti al possesso di questi boschi…”.

Si può tranquillamente affermare che se mai nel passato le Comunalie avevano corso un così serio pericolo, è pur vero che mai i frazionisti ebbero un riconoscimento tanto limpido e ufficiale dei loro diritti.

Lo scampato pericolo, il successivo crollo del severo regime napoleonico e il conseguente mutamento delle leggi, sembrarono favorire per alcuni anni la mancata osservanza delle antiche consuetudini e del rispetto dovuto a quelle proprietà.

Don Tommaso Grilli scrive che “la parola dei Sindaci non era più efficace a garantire i prodotti agli agricoltori di quei terreni indivisi; molti volendo godere più degli altri si facevano lecito tagliare anche piante fruttifere e commettere altri abusi…non vi era via legale per impedire questi disordini, poiché gli incolpati addicevano in loro difesa il diritto di condominio,me l’autorità giudiziaria tornava inutile, ed anzi dannosa perché assolti, rendevansi più baldanzosi ed insolenti14”.

Questo stato di cose spinse i Comuni di Borgotaro e Albareto a dar vita, nella prima metà dell’ottocento, ad apposite Commissioni Amministratrici per ogni Comunalia nel tentativo di ottenere un più corretto uso delle proprietà comuni.


IL REGNO D’ITALIA

In seguito, con il formarsi del Regno d’Italia, venne approvata una legge15 con la quale sembrava possibile regolamentare in modo omogeneo e definitivo la questione. Enormi furono le difficoltà incontrate, non solo perché non tutti concordavano sulla applicabilità della legge alle Comunalie, ma anche a causa delle differenti consuetudini in vigore nelle varie frazioni.

Ne sortirono, non senza fatica e contrasti, regolamenti diversi. In alcuni (Baselica, Groppo, Montegroppo ecc.) vennero considerati utenti e quindi aventi diritto, i capi famiglia di tutti i nuclei aventi storicamente residenza abituale nel territorio della frazione; in altri(San Vincenzo e Rovinaglia) venne previsto di ammettere al godimento dei beni comuni anche le nuove famiglie divenute proprietarie purché residenti nella frazione. In altri casi vennero considerati utenti anche i possidenti della frazione, benché non vi risiedessero più.

Per quanto invece riguardava le modalità di godimento, in genere i regolamenti prevedevano che ogni utente avesse diritto alla legna da ardere, al legname da lavoro per i fondi e la casa, e al pascolo.

Prevedevano anche, quasi tutti, la possibilità di affittare i tagli periodici di legname, la raccolta delle castagne, alcuni coltivi, prato e pascoli, per poi dividere il ricavato tra gli utenti.

Ogni utente aveva poi l’obbligo di concorrere nel pagamento delle imposte.

Nel 1957 si costituiva il Consorzio delle Comunalie Parmensi, che oggi ha sede in Borgotaro, al quale aderiscono sedici Comunalie.

Note

(1) G.Petracco Sicari, Valtaro e Valceno nell’Altomedioevo, Milano, 1979

(2) V.Fumagalli, Valtaro e Valceno nell’Altomedioevo, Milano, 1979
(3) Bernardino Campi, Memorie storiche della città di Pontremoli, Manoscritto del XVII° sec.
(4) Privilegio di Federico II, tratto dallo Statuto del Comune di Pontremoli.

In nomine Sanctae Individuae Trinitatis Fridericus II, Divina favente Clementia Romanorum Imperator semper Augustus, Jerusalem et Sicilie Rex. Decet Imperiali excellentiae dignitate vota suorum fidelium favorabiliter prosegui, et ea sic effectu proseguente complere, quod axhibita ipsius gratia presentibus sit ad gaudium, et posteris ad exemplum. Universis igitur fidelibus Imperii tam presentibus, quam futuris, volumus esse notum, quod Nos attendentes fidem puram et devotionem sinceram, quam Comune Pontis Tremuli, fideles Nostri, erga Nos et Imperium sempre habuisse dignoscuntur: nihilominus etiam advertentes eorum Fidelia satis et grata servitia, quae Nobis et Imperio semper exhibuerunt, et quae in antea de bono in melis potuerunt exibere; confirmamus eis, et haeredibus, et successoribus eorum in perpetuum, omnes terras suas, quae his finibus distinguuntur; videlicet a fauce Cise, et a fauce Montis de Cirono infra versus Burgum Pontremuli, et ab utroque flumine Capriae supra, sicut dividuntur Terrae Marchionum Malaspinae a Terris Communis Pontremuli per illa duo fulmina, et a Monte Rotondo et a Monte Gottari citra versus eundem locum Pontremuli; item a loco illo sicut citra, qui dicitur Capra Morta, et a flumine Tarodanae citra, sicut dividuntur Terrae Placentinorum a terris Communis Pontremuli, et a Cruce ferrea infra versus eundem locum Pontremuli, prout Terras ipsas per prenominatos fines, iuste hactenus tenuisse noscuntur. De abundantiori quoque culminis Nostri gratia, qua fideles nostros et benemeritos digne consuevimus prevenire, concedimus, et confirmamus dicto Communi Pontis Tremuli quidquid Feudi, et benefitii tenere et habere consueverunt ab Imperio rationabiliter usque modo cum omni jurisditione et honore ad dictum Commune de jure spectantibus quemadmodum ea omnia per privilegia Predecessorum Nostrorum Romanorum Imperatorum seu Tegum eidem Communi concessa fuisse plenius digniscuntur, salva per omnia Imperii justitia. Mandamus itaque auctoritate praesentis Privilegii, firmiter statuentes, ut nulla umquam persona alta, vel humilis, ecclesiastica, vel secularis, in praemissis omnibus dictum Comune Pontremuli contra praesentem concessionem et cinfirmationem Nostram offendere, inquietare, vel molestare praesumat; quod qui praesumpserit centum librarum auri poena incurrat. Quorum medietas Camerae Nostrae, alter vero passis injuriam persolvantur, ut autem Nostra soipradicta semper firma et illibata permaneant, praesens privilegium inde fieri, et sigillo Majestatis Nostrae jussimus communiri. Huius rej testes sunt Lando venerabilis Reginus Archiepiscopus, Conradus Ysdemerii Episcopus, frater Tobetanus Episcopus, Rainaldus Dux Spoleti, Corradus Marchio Malaspina, Thomas Comes Sabaudiae et Marcho in Italia, Comes Sifridus de Vienna et alii quam plures.
(5) Giuseppe Micheli, I confini tra Borgotarpo e Pontremoli, Parma, 1899
(6) Poiché tra i comuni e gli uomini della predetta nostra Terra di Pontremoli da una parte e gli abitanti della nostra Terra del Borgo Val di Taro dall’altra, da molto tempo sono sorte discordie e tuttora permangono in particolare a causa dei confini tra l’una e l’altra terra e decide che gli uomini di Pontremoli e Distretto abbiano e debbano avere l’uso della selva ossia bosco di Tocherio, quantunque sia, così che possano tagliare, pascolare, lavorare, “buscare” ed estrarre legname dalla etta selva ossia bosco di Tocherio a loro volontà”.
(7) D.Calcagno-F.Cellerino, Statuti concessi alla Comunità di Borgo Val di Taro da Giovanni Luigi Fieschi, conte di Lavagna e di San Valentino nel Regno di Napoli, Ammiraglio del re di Francia e dei Genovesi, signore di Borgo Val di Taro, Chiavari, 1999.
(8) Atti notarili da Agosto 1540 al maggio 1545. Vol 1538 pag.158, un tempo presso l’Archivio Notarile di Borgotaro, oggi in Archivio di Stato di Parma
(9) Per la missione di Padre Segneri in Valtaro, cfr. Giacomo Bernardi, Dai Visconti ai Farnese, Borgo Val di Taro, 1994, pagg. 169-173.
(10) Per le vicende legate all’arbitrato della Repubblica di Venezia, cfr. Giacomo Bernardi, Dai Visconti ai Farnese, Borgo Val di Taro 1994, pagg. 175-187
(11) L’intera lettera verrà allegata, come documento n.10, al ricorso presentato contro l’Amm.ne Francese (12) Cfr. Domenico Ponzini, Pontolo e il territorio di Borgo Taro, nel censuale di G.Francesco Varsi(1781-1816),Piacenza, 1994, pagg.75-76
(13) A partire dal 1808 la sede della sottoprefettura passa da Borgotaro a Pontremoli.
(14) Tommaso Grilli, Cenni storici di Albareto di Borgotaro, Borgotaro 1893
(15) Legge Fittoni del 4 agosto 1894

lunedì 26 agosto 2013

SCRITTI: La spagnola a Borgotaro e nella valle (1^ parte)

La spagnola a Borgotaro e nei comuni della valle(parte 1)

Questo libro ha avuto un successo inaspettato, o quasi. Le prime seicento copie sono andate esaurite nel giro di due mesi. Così è stato necessario procedere ad una ristampa di 400 copie. Il volume, che è in vendita presso l'Ass. Emmanueli di Borgotaro a 10 €, contiene oltre trenta tra fotografie e riproduzione di documenti originali, che non vengono qui riportati per non appesantire il sito. Purtroppo i vari data-base da me creati con Microsoft Works, non mantengono nel sito l'allineamento. Il volume verrà riportato in 3 parti.

Presentazione


Con questa pubblicazione l’Associazione “A. Emmanueli” consegna a futura memoria un’altra pagina della storia della nostra comunità.


Pagina triste, dimenticata dai più, che Giacomo Bernardi ha saputo con pazienza e sagacia riportare alla nostra attenzione.
La ricerca, ricca di documentazione, dati e testimonianze, va ben oltre il fenomeno, pur rilevante, della paurosa pandemia che ha colpito Borgotaro, per spaziare in quella che era la realtà socio-economica del tempo, portandoci a scoprire una comunità alle prese con tanti problemi.
 
Borgotaro, agosto 2003

L’Ass. A. Emmanueli

                               A mio nonno Giacomo Gabbi


Dì la verità, amico lettore!

Durante i tuoi studi, lunghi o brevi, ti è mai capitato di leggere nei libri di storia

qualcosa sulla così detta “spagnola”,

una forma influenzale che colpì l’intera umanità nel 1918?

O ne hai sentito, forse, parlare dai tuoi insegnanti?

Eppure si trattò di una malattia che colpì quasi un miliardo di persone

d’ ogni parte del mondo.

Eppure in un solo anno causò più di venti milioni di decessi.

Eppure, in pochi mesi di quel 1918, fece più vittime di quante non ne fece

in quattro anni la guerra allora in atto.

Eppure non sono pochi a sostenere che la fine della prima guerra mondiale fu dovuta, in buona parte, a questa “influenza” che stava decimando gli eserciti.

Eppure anche gli studiosi locali nulla hanno scritto, benché nella nostra valle siano decedute

centinaia di persone in soli tre mesi.

Allora, amico lettore, se della “spagnola” mai ti è capitato di leggere

qualcosa sui libri di scuola, non fartene una colpa.

E’ capitato a tutti.

Perché mai?

Resterà sempre uno dei grandi misteri del novecento

la “congiura del silenzio”

che ha cercato di cancellare dalla storia dell’umanità la memoria di una delle più

terrificanti pandemie

che mai abbiano colpito il mondo.

Anche a me è accaduto di non aver mai trovato traccia della “spagnola

nei libri di storia.

Anch’io sono stato vittima di questa inspiegabile “congiura del silenzio”,

ma ho avuto la fortuna di avere un nonno materno che mi parlava spesso della “spagnola”,

dei tanti morti,

di come la sua famiglia si fosse salvata mangiando

carne di maiale e bevendo grandi quantità di vino.

Dai suoi racconti pensavo si trattasse di una specie di pestilenza.

Ero ragazzo e senza far troppi calcoli pensavo che quella terribile malattia

si fosse verificata nel settecento o ancor più in là e soltanto nel paese

dove viveva mio nonno, originario della bassa.

Poi, un giorno, eravamo negli anni settanta,

mi capitò di notare su un quotidiano un articolo dal titolo

L’influenza più nefasta della guerra”, a firma di Silvio Bertoldi.

Grande fu la mia sorpresa

nell’apprendere che la “spagnola” si era verificata nel 1918 e che aveva colpito tutto il mondo provocando milioni di morti.

Mi venne subito il desiderio di andare a consultare i registri dei morti

del nostro comune per vedere cosa mai fosse accaduto a Borgotaro.

Nessuno ne aveva mai parlato, tanto meno scritto.

Così scoprii che la “spagnola” aveva duramente colpito anche da noi.

Iniziai, da allora, a raccogliere documenti e testimonianze dirette

di persone sopravvissute a quella terribile malattia.

Presi verso me stesso un impegno: questa storia va raccontata.(g.b.)

Borgotaro, Agosto 2003

L’influenza è una malattia che, di fatto, ogni uomo sperimenta più volte nel corso della propria esistenza indipendentemente dallo stile di vita, dall’età e dal luogo in cui vive”.

Perché “spagnola”?

Agli inizi dell’autunno 1918, la guerra mondiale fu lì per finire non tanto perché vi fosse un esercito perdente, ma per colpa di una malattia che stava uccidendo a migliaia i soldati.

Sui vari fronti, infatti, i militari cadevano come mosche e poco mancò che gli eserciti si arrendessero perché le loro divisioni erano devastate non tanto dagli attacchi del nemico, ma da una tremenda epidemia.

Si trattava di una forma influenzale che venne chiamata “spagnola” per il fatto che si era manifestata in Spagna fin dal febbraio del 1918, sia pure in forma benigna. Tanto che quando nella primavera di quell’anno una famosa agenzia europea aveva divulgato la notizia che “una strana forma di malattia a carattere epidemico è comparsa a Madrid” nessuno aveva dato importanza al fatto. Si era in piena guerra mondiale e che in Spagna vi fosse quella “strana malattia” non costituiva davvero notizia, specialmente in Italia dove la popolazione era ancora disorientata dopo la rotta di Caporetto.

Qualche curiosità aveva destato il fatto che un terzo degli abitanti di Madrid, compreso il re Alfonso XIII, fosse a letto. Per il resto non ci si preoccupò di una “influenza”, termine coniato da due italiani, Domenico e Pietro Boninsegni, fin nel lontano 1580, quando si era persuasi che “l’influsso”, ossia l’influenza, delle stelle(ob obcultam coeli influentiam) fosse responsabile di queste periodiche epidemie, dalle quali solitamente si guariva in poco tempo.

I sintomi della malattia che si era diffusa in Spagna erano tosse, dolori agli occhi, e alle orecchie, indolenzimento alla regione lombare, mal di capo, gola arrossata. Gli stessi di oggi. Poi torpore, brividi, febbre anche fino a 40°. L’incubazione durava due giorni con presenza di mal di gola e di testa. Al terzo-quarto giorno i sintomi sparivano. Si trattava, come detto, di una forma benigna di influenza.

Qualche preoccupazione cominciò a farsi strada quando ci si accorse che l’epidemia si stava diffondendo a largo raggio: negli Stati Uniti, poi in Giappone e nell’Oriente, in Francia, in Germania, in Austria, in Scozia, ma anche in Grecia, in Norvegia, in Egitto e poi…in India, in Costarica e, naturalmente, in Italia.

Quando si arrivò alle soglie dell’autunno, il mondo intero cominciò a contare i morti: non solo gli anziani e i più deboli, ma soprattutto i giovani e gli adulti. Una tragica ombra si allungava su tutto il globo e mentre ovunque la gente moriva, i medici non sapevano come contrastare il morbo. Contro questa malattia non esisteva, infatti, difesa scientificamente valida, così si adottarono le terapie più stravaganti.

In assenza di antibiotici e di sulfamidici, qualche medico ricorse agli impacchi caldi, altri a quelli freddi, altri ordinarono di segregare in casa gli ammalati, altri ancora di farli uscire all’aperto sotto le intemperie. Si ricorse al chinino, alle purghe, alla fenacetina, alle iniezioni sottocutanee di olio canforato e di caffeina “per sostenere la circolazione”. L’aspirina sollevava ancora parecchi sospetti, si temeva potesse nuocere al cuore.

L’epidemia fu chiamata influenza, ma non v’era nessuna somiglianza con nessun’altra delle tante influenze che si erano viste in precedenza. Ed era strano che colpisse soprattutto persone giovani e sane: quelle che in genere erano le meno colpite dalle malattie infettive.

Più che una influenza, parve a tanti una specie di piaga biblica, quasi un castigo di quelli previsti nell’Apocalisse, dove si legge che il mondo sarebbe stato colpito prima dalla guerra(ed era in corso), poi dalla carestia ed infine dalla peste.

Ciò che impressionava maggiormente era il tragico e sconvolgente iter della malattia. “All’inizio, l’influenzato accusava solo un sordo mal di testa e un vago bruciore agli occhi, poi però, scosso da brividi, si metteva a letto, e pur raggomitolandosi e coprendosi con molte coperte non riusciva a vincere la sensazione di freddo. La febbre cominciava a salire, e più saliva, più il sonno era inquieto e tormentato dagli incubi del delirio.[…]. Potevano occorrere ore o giorni , ma niente fermava il decorso infausto della malattia[…]. La faccia diventava violacea, cianotica, l’espettorato era venato di sangue, i piedi parevano quasi neri.

Poi, quando la fine era vicina, il paziente, che aveva ormai i polmoni pieni di essudato rossastro, boccheggiava nel disperato tentativo di respirare ed emettendo una bava sanguinolenta moriva soffocato[1].

Gli ammalati, vista l’impotenza dei medici, cominciarono a tentare terapie particolari. Ci fu chi si curò con il whisky, chi con il tabacco(fumando e masticando), chi con una sbornia. Ci fu anche chi si mise a masticare cuoio e aglio e chi vide nella carne di maiale l’antidoto alla malattia.

Nelle città vennero chiusi i teatri, le sale cinematografiche, i ristoranti e i locali pubblici. Sospesi i mercati, le lezioni nelle aule e ogni occasione che si prestasse a grande concorso di pubblico.

Le navi venivano bloccate in quarantena nei porti, ma spesso a quarantena finita si prendeva atto che a bordo vi erano soltanto cadaveri.

Fu uno dei peggiori flagelli che mai avesse colpito l’umanità e in pochi mesi, nel mondo, uccise dai venti ai quaranta milioni di persone.

Morirono celebri personalità: lo scrittore Edmond Rostand, il poeta Apollinaire, il principe Erik di Svezia, il principe Torlonia, la figlia di Buffalo Bill. Negli Stati Uniti si salvarono per un pelo il Presidente Wilson, il suo successore Roosvelt, Walt Disney e l’attrice Mary Pickford.

Richard Collier nel suo volume[2] racconta fatti che hanno dell’incredibile, come quello capitato al tranviere Charles Lewis di Capetown, il quale si trovava, a servizio ultimato, su di un tram diretto verso casa. All’improvviso vide il bigliettaio cadere vittima della “spagnola”. Ne prese subito il posto, ma uno dopo l’altro vide ben cinque passeggeri cadere a terra vittime anch’essi della malattia. Ogni tanto il tram si fermava e i cadaveri venivano deposti lungo i marciapiedi dove sarebbero poi stati raccolti dagli spazzini. Infine Charles dovette correre alla guida del tram perché il manovratore era crollato pure lui a terra.

I viaggiatori parevano rassegnati, quasi indifferenti, tanto s’erano abituati a quelle scene. Charles guidò la vettura fino al punto in cui gli era comodo arrivare alla sua abitazione. Staccò la manovella e scese. Si sentiva addosso brividi violenti, riuscì tuttavia a raggiungere la sua casa. Era salvo.

Per raccogliere tutte le testimonianze riportate nel suo libro, Collier girò il mondo e intervistò personalmente 175 persone che avevano direttamente vissuto quelle esperienze. Tra questi anche il Ten. Pier Paolo Crespi, riferito come in servizio presso la 2^ Armata a Borgotaro. A significare che la nostra zona fu una delle zone più colpite dalla spagnola.

La “spagnola” in Italia

A Torino, nel momento più critico, si arrivò ad avere anche 400 morti al giorno. A Roma, a seicento chilometri di distanza, il numero giornaliero dei decessi fu altrettanto alto. Ma per quanto attentamente gli italiani leggessero ogni giorno “La Stampa” o “Il Messaggero”, tali statistiche venivano loro negate.

Pur di nascondere l’amara realtà, il Capo del Governo, il liberale Vittorio Emanuele Orlando, aveva imposto una censura severa, paragonabile soltanto a quelle che Mussolini avrebbe imposto al popolo italiano negli anni della dittatura.

In Italia la mortalità era più alta che in qualsiasi altra nazione europea, se si esclude il Portogallo, ma qualunque manifestazione di dolore in pubblico era vietata.

Non si udivano più suonare le campane a morto. I cortei funebri, le omelie, le corone, gli annunci mortuari che solitamente si affiggevano ai muri, vennero proibiti.

Per la verità anche altri stati si comportarono come l’Italia. La campane a morto tacevano anche in Francia, in Spagna e in Olanda.

Quello che i Capi di Stato non riuscirono a nascondere fu la triste realtà di ogni città, di ogni paese, di ogni villaggio. Lì, ma soltanto lì, la gente pur non sapendo quanto stava accadendo in altri luoghi, s’accorgeva, eccome, di quanti si ammalavano, di quanti morivano ogni giorno. Eugenia Tognotti, esperta di infettivologia storica, nel suo volume “ La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo[3] riporta numerosi stralci di lettere che dall’Italia venivano inviate a familiari emigrati per informarli della malattia che stava colpendo l’Italia, lettere che cadevano sotto una severa censura e che non giungevano, quindi, a destinazione. Tra queste una in partenza da Bedonia, destinazione New York, nella quale si può leggere: “[…] E’ una malattia brutta e schifosa che non li portano nemmeno in chiesa[4]

Quando fu possibile stilare una statistica dei decessi a causa della “spagnola”, ci si trovò di fronte a cifre impressionanti.

Numero dei morti a causa della “spagnola”, divisi per continenti

America settentrionale e C.le n. 1.073.685 decessi
America latina n. 327.250
Europa n. 2.163.303
Asia n. 15.737.363
Australia e Oceania n. 965.243
Africa n. 1.333.428

TOTALE: n. 21.642.274 (*)

(*) I dati che si riportano risalgono a stime apparse negli anni ’20. Oggi gli studiosi sono concordi nel valutare in oltre quaranta milioni i decessi causati dalla “spagnola” nel 1918.


Dati relativi ai decessi per “spagnola” riscontrati in alcuni stati

Stati Uniti decessi n. 548.452
Russia n. 450.000
ITALIA n. 375.000 *
Germania n. 225.330
Gran Bretagna n. 228.917
Spagna n. 170.000
Francia n. 166.000

In Italia si ebbero 106 morti ogni 10.000 abitanti, percentuale lievemente superata soltanto dal Portogallo

* Stime recenti indicano in 600.000 i morti per spagnola in Italia

La “spagnola” a Borgotaro


Verso gli Stati Uniti (1)

Verso la fine di settembre dell’anno 1918, tra i pochi viaggiatori che all’incerta luce dell’alba attendevano nella stazione di Borgotaro l’arrivo del treno per La Spezia, era impossibile non notare un gruppetto di una decina di persone.

I loro diversi atteggiamenti lasciavano chiaramente intendere che non tutti sarebbero partiti. Gli abiti indossati, le movenze, le espressioni indicavano come partenti due adulti, forse marito e moglie, e un ragazzo intorno all’età di dieci anni. L’attenzione di tutti era infatti rivolta a questi tre; un’attenzione fatta di premure, suggerimenti, carezze, come tra persone che sanno di separarsi per un lungo periodo.

Quando la vaporiera arrivò emettendo, prima di fermarsi, gli ultimi sbuffi, la stazione s’empì di fumo e vapore.

Il gruppo ebbe come un sussulto, vi fu un rapido incrociarsi di saluti e raccomandazioni, comparvero fazzoletti generosi nel nascondere lacrime e trattenere singhiozzi. Poi dal gruppo si staccarono tre persone. Salirono a fatica le alte predelle della carrozza e subito dietro loro vennero issate due valigie e altrettanti scatoloni.

Il capostazione, poco dopo, lanciò un lungo fischio e la vaporiera che aveva continuato ad ansimare durante la fermata, dopo aver fatto un debole sbuffo, ne emise altri più decisi e rapidi, e partì.

Mentre il treno entrava nella galleria del Borgallo, i tre si misero a sedere.

Giovanni Franza, sui quarant’anni, e la moglie Maria Leonardi, 33 anni, guardarono il figlio Luigi seduto davanti a loro. Lo strappo era avvenuto, il Borgo era ormai alle spalle, ora dovevano pensare al lungo viaggio verso gli Stati Uniti d’America(1-continua)

  Primi allarmi

Il 2 ottobre 1918, in località La Pietra di Belforte, moriva una giovane contadina di 16 anni: Irma Sociali, adottata dalla famiglia Cavazzini che l’aveva prelevata presso un orfanotrofio di Parma.

La malattia, attacco febbrile, si era manifestata il 28 settembre. Erano però bastati tre giorni per condurla alla morte. Causa: bronco-polmonite da influenza.

Il giorno 30 settembre l’ Ufficiale Sanitario del Comune, dottor Giovanni Spagnoli, aveva segnalato al Sindaco: “Mi faccio in dovere di denunciare alla S.V. che nella frazione di Belforte, in località La Preda, ho verificato un caso di bronco-polmonite da influenza sulla giovane Sociali Irma di Ignoti, convivente presso la famiglia di Cavazzini Martino”[1].

Il Sindaco a sua volta faceva immediatamente pervenire la denuncia al Sottoprefetto, ma il giorno 2 ottobre, in una seconda nota, scriveva: “Facendo seguito alla precedente mia comunicazione, partecipo che la Sociali Irma di Ignoti, di anni 17, è morta in seguito a bronco-polmonite influenzale, oggi. Norme adottate: disinfezione effetti letterecci e personali e del locale; trasporto del cadavere direttamente al cimitero[2].

Nessuno poteva immaginare, in quel lontano ottobre, che quello di Irma sarebbe stato il primo di una lunga serie di decessi che avrebbero sconvolto la popolazione di Borgotaro e dell’intera valle.

Le segnalazioni alle autorità, le precauzioni stranamente adottate per una “influenza”, il trasporto immediato al cimitero, il mancato svolgimento del funerale, stanno a dimostrare che la pericolosità della malattia era ben nota alle autorità, anche se la popolazione era ancora all’oscuro di quanto stava accadendo nella stessa Parma.

In realtà le autorità sanitarie e i comuni erano stati in precedenza all’ertati, anche se alcuni episodi stanno a confermare una certa leggerezza nel valutare la situazione.

Già in data 7 settembre, il Prefetto aveva inviato al Sindaco di Borgotaro il seguente telegramma:

Richiamo personale attenzione necessità sia curata vigilanza Sanitaria sulle colonie dei Profughi dandone apposito incarico Ufficiale Sanitario locale. Gradirò relazione telegrafica circa situazione sanitaria costà esistente”[3].

La risposta è del 10 dello stesso mese, sempre tramite telegramma:

Ill.mo sig. Prefetto Parma

Salute profughi e quella popolazione ottima. Si ha solo qualche caso influenza con forma benigna”[4].

Quell’ “ottima”, riferito alla salute generale del paese, tenendo conto di quanto stava accadendo a Parma e delle restrizioni, anche alimentari, in atto, pareva un poco esagerato e non rispondente all’effettiva realtà. Tanto è vero che nell’intervallo di tempo tra il ricevimento del telegramma e la risposta, il Pro Sindaco, in data 9 settembre, aveva inviato al Sottoprefetto, allora residente al Borgo, una denuncia relativa a “malattia infettiva”. Ecco il testo: “Oggi questo Ufficiale Sanitario ha denunciato un caso di bronco-polmonite da influenza nella persona di Delmaestro Domenico di anni 44 della frazione di San Vincenzo. Furono adottate le disinfezioni degli sputi e del locale di isolamento e domicilio e si è inviato alla Prefettura il prescritto Modello 14”[5].

Le autorità erano, dunque, bene informate sulla pericolosità di quella influenza.

 
Un manifesto premonitore

Va dato atto all’Ufficiale Sanitario del Comune, dottor Giovanni Spagnoli, d’aver messo in all’erta le autorità e la popolazione di Borgotaro, inviando al Sindaco una serie di “consigli popolari per la difesa individuale contro le malattie infettive acute che potrebbero manifestarsi in questa stagione”.

La lettera reca la data del 27 agosto e venne tramutata nel seguente manifesto:


COMUNE DI BORGO VAL DI TARO

MANIFESTO


In seguito a manifestazione di casi di malattia infettiva in alcuni comuni della Provincia e di quelle limitrofe, per quanto non si abbia presentemente alcun motivo d’allarme per la pubblica salute, pure allo scopo di premunirsi in caso di una eventuale comparsa di tali malattie anche in questo comune, si trova opportuno fare le seguenti prescrizioni perché vengano strettamente osservate:


1° Ogni individuo deve adottare convenienti misure per proteggere se stesso e per non danneggiare gli altri. Primieramente deve curare la massima pulizia dell’abitazione. Le immondezze verranno con ogni cura allontanate, evitandosi che restino accumulate nei cortili o in immediate vicinanze delle case, ove costituiscono sempre un pericolo per la diffusione delle malattie, anche per il fatto della grande quantità di mosche che esse attraggono.

2° Bisogna curare in modo speciale la pulizia delle latrine. Le madri raccomandino ai loro figliuoli di non spandere feci qua e là nei cortili o in prossimità della casa;

3° E’ pure di grande importanza curare una buona e costante pulizia personale, lavandosi le mani più volte al giorno con acqua e sapone, e specialmente lavarsele prima di mangiare;

4° Evitare i disturbi della digestione mantenendosi sobrii e temperanti, poiché i disordini nel mangiare e nel bere predispongono alle malattie infettive;

5° Si raccomanda di non fare strapazzi corporei, di non esporsi a cause reumatizzanti, di mantenere la pelle e le vie respiratorie allo stato di perfetta integrità.

6° Si evitino e si curino le malattie viscerali di cui si fosse affetti;

7 Si usi la massima sorveglianza nei cibi e nelle bevande cercando di evitare l’ingestione di latte, frutta e verdure che non siano state sottoposte all’ebollizione;

8° Si curi che i pozzi siano garantiti contro possibili inquinamenti;

9° Non si lavino biancherie in prossimità dei pozzi, ne quivi si gettino immondizie o acque luride;

10° Se si dubita della bontà dell’acqua, si faccia bollire.
Borgotaro 27 agosto 1918[6]


Il cappello voluto dall’Amm.ne Comunale tende da una parte a tranquillizzare, dall’altra segnala malattie infettive in Comuni della Provincia. Non viene mai citata la parola “influenza”, tanto meno “spagnola”.

Dal manifesto emerge che in paese non si effettuava la raccolta delle immondizie e queste venivano spesso accumulate nel cortile di casa. Si invitano i cittadini ad allontanarle, ma non si indica un luogo apposito, così venivano lasciate lungo il perimetro delle mura.

I bambini facevano i loro “bisogni” dove meglio capitava, “nei cortili o in prossimità della casa”.

Alcuni punti del manifesto, poi, sembrano destinati a ben altri luoghi e condizioni.

Come l’invito a lavarsi “ le mani più volte al giorno con acqua e sapone” rivolto ad una popolazione che per il 90% non aveva acqua nelle abitazioni, ma l’attingeva alle fontane e ai pozzi pubblici in brocche che contenevano il quantitativo appena sufficiente per gli usi di cucina e per dissetarsi, o come quello di mantenersi “sobrii e temperanti” rivolto ad una popolazione che stava soffrendo la fame.

Non commento, poi, il passo in cui si dice che “ i disordini(ma quali!) nel mangiare e nel bere predispongono alle malattie infettive”, frase che pare più un deterrente contro l’atavica e ancor presente abitudine ad eccedere nel consumo di vino, che non contro le malattie infettive.

E che dire della raccomandazione a “non fare strapazzi corporei”, a “non esporsi a cause reumatizzanti” e a “mantenere le vie respiratorie allo stato di perfetta integrità” rivolto a una popolazione che trovava impiego specialmente nel duro lavoro delle cave, e nei due cementifici locali dove la gente s’ammalava di silicosi?

Quanto ad evitare “l’ingestione di frutta e verdure che non siano state sottoposte all’ebollizione” va detto che a quei tempi ben poche famiglie potevano permettersi l’acquisto di tali generi presso i negozi. Tutti, o quasi, avevano i loro orti, mentre la frutta veniva consumata soltanto se c’era la possibilità di coglierla gratuitamente dalle piante selvatiche o di sottrarla nelle altrui proprietà.

Ma ciò che più meraviglia è il fatto che le “prescrizioni” rivolte ai singoli cittadini, in previsione di una possibile epidemia, non abbiano minimamente spinto le autorità locali a prendere iniziative atte ad affrontare il pur previsto espandersi della spagnola.

Nel momento più critico, come avremo modo di vedere, mancheranno disinfettante, legname per le casse mortuarie, personale sanitario, luoghi di isolamento.


A Parma…intanto.

La Gazzetta di Parma di giovedì 29 agosto riportava in prima pagina uno strano articolo dal titolo: “La salute pubblica in città”. In esso si rigettava con grande sdegno, in verità un poco campanilistico, la notizia riportata da alcuni giornali, secondo la quale a Parma “impera la morte e i cittadini cadono per le vie come le mosche colpiti da un terribile e inesplicabile male”.

Il giornalista, in modo alquanto sbrigativo, dopo aver dato del “disfattista” a chi aveva scritto quelle notizie, smentiva ogni cosa affermando che, avendo interpellato le autorità sanitarie, nulla era stato segnalato di particolare. Concludeva il suo servizio insinuando che le notizie propagandate testimoniavano l’invidia che in altre città si provava nei confronti di Parma.

Tuttavia, dava notizia che i morti in città nella settimana 19-25 agosto erano stati 77, dei quali ben 37 militari, cifra quest’ultima che avrebbe potuto far riflettere quel cronista, che invece trovava modo di scrivere: “E’ questo un elenco[di morti] d’entità pari a quelli che si hanno nella stagione invernale e che è poco più di due volte più alto di quello che si è avuto nell’eguale periodo di tempo, dell’anno scorso”.

Insomma, per il cronista il fatto che in un mese estivo l’elenco dei morti di quella settimana fosse “poco più di due volte più alto” del solito non costituiva sorpresa. Così come considerava normale che in città fossero deceduti 37 militari, quasi fossimo al fronte!

La Gazzetta di Parma di martedì 3 settembre ritornava sull’argomento e il cronista dava notizia che il prof. Frassi, Direttore dell’Ufficio d’Igiene, aveva “cortesemente fornito le informazioni più complete circa la forma epidemica ora diffusa in città”. Con un largo giro di parole e per nascondere la grave realtà, si diceva che “già varie parti d’Italia ne sono state colpite, prima della nostra regione”. Contrariamente poi a quanto sostenuto in precedenza, si dava atto che l’epidemia si era manifestata in Parma a partire dal 20 agosto e che “fortunatamente le misure prese dalle autorità militari hanno circoscritto e anche in qualche parte sopito l’epidemia. Ed è sperabile che anche nella popolazione civile la diffusione vada diminuendo”.

L’articolo proseguiva riportando alcuni consigli: “astenersi da agglomerati e da stravizi di ogni genere”, si suggeriva anche che “ i malati debbono essere lasciati tranquilli e isolati il più che si può, facendoli assistere da una sola persona della famiglia”. Si dava poi atto che “il numero dei casi sembra essere alquanto diminuito negli ultimi giorni”. Quel “sembra” altro non era che un maldestro tentativo di nascondere una grossa bugia.

Infatti, in chiusura di articolo, si poteva leggere che l’autorità comunale aveva vietato al pubblico, per ragioni igieniche, l’entrata nel Cimitero e che i morti nella settimana dal 26 agosto al 1 settembre erano stati 113, di cui 47 militari. Dati che contrastavano vistosamente con quanto asserito nell’articolo stesso. Infatti nella settimana precedente, come abbiamo riferito, i morti erano stati 77 di cui 37 militari: i decessi erano quindi in notevole aumento e non in diminuzione. In realtà la città di Parma era in preda alla “spagnola” anche se la popolazione veniva tenuta all’oscuro di quanto stava accadendo.

La spagnola entra in paese

Venerdì, 4 ottobre: a Borgotaro moriva Maria Spagnoli di anni 68, moglie di Pietro Previ.

Lunedì, 7 ottobre moriva presso l’Ospedale Civile Giovanni Ferranti di 27 anni, profugo.

Martedì, 8 ottobre: a San Vincenzo moriva Maria Tosi di anni 28, maestra, moglie di Giuseppe Costadasi e a Borgotaro Maria Rotelli in Barusi, di anni 38

Mercoledì, 9 ottobre: a Borgotaro moriva Armando Mussi di anni 14.

Per tutti identica è la causa del decesso: bronco-polmonite influenzale.

Era ormai chiaro che la “spagnola” era arrivata anche a Borgotaro.

Verso gli Stati Uniti (2)


Il bastimento, dopo aver lasciato Genova, puntò verso la Spagna. Prima di affrontare la traversata dell’Atlantico avrebbe infatti attraccato in un porto spagnolo.

Giovanni Franza, la moglie e il figlio, mescolati fra tanti emigranti, non si separavano mai. Troppo fresca era ancora la ferita dovuta all’abbandono di parenti e amici per poter gustare quella traversata che la buona stagione e un mare liscio lasciavano prevedere ottima. D’altra parte avevano ormai puntato su quel viaggio, avendo venduto quanto possedevano per acquistare i biglietti. Mesi di sacrifici, negandosi pure il necessario, ma tutto finalizzato a raggiungere l’America dove, così avevano assicurato lontani parenti, avrebbero trovato lavoro e soddisfazioni.

Il 4 ottobre Maria Leonardi cominciò a sentire i primi sintomi della malattia. Qualche brivido subito giustificato con l’esposizione all’aria fresca serotina, poi un febbrone tale da richiedere l’intervento del medico di bordo. Non ci volle molto, a quest’ultimo, per diagnosticare ciò che più si temeva a bordo: l’influenza spagnola.

Per Maria fu subito deciso l’isolamento, cosicché la famiglia per qualche giorno conobbe la durezza della separazione. Ma una volta raggiunto il porto spagnolo, ben altri furono i problemi da affrontare.

Il comandante della nave, su parere del medico di bordo, aveva infatti deciso che Maria non avrebbe potuto proseguire il viaggio. Non poteva sbarcare negli Stati Uniti chi era ammalato di “spagnola”.

Una nave della stessa Compagnia, di ritorno dagli USA e diretta in Italia, l’avrebbe riportata a Genova, mentre marito e figlio avrebbero potuto proseguire il viaggio.

Fu una scelta dolorosa e sofferta. Tornare tutti a casa poteva sembrare la decisone più saggia. Ma come avrebbero potuto vivere al Borgo senza più lavoro, né soldi, né beni. Come avrebbero potuto nuovamente risparmiare soldi per un nuovo viaggio al quale non volevano rinunciare?

Decisero così di separarsi. Giovanni e il figlio avrebbero proseguito, Maria sarebbe “rimpatriata” per raggiungere poi, una volta guarita, l’America.

Negli elenchi degli ammalati di influenza con gravi complicanze che il dottor Spagnoli quotidianamente inviava alla Prefettura di Parma, troviamo segnalata sotto la data del 12 ottobre Maria Leonardi di anni 33, coniugata con Giovanni Franza. A tale data dovrebbe risalire il suo ritorno al Borgo. Se la caverà, e il suo nome non comparirà nell’elenco delle persone decedute.

Qualche mese dopo, infatti, raggiungerà marito e figlio negli Stati Uniti, tuttavia la sua salute, dopo le complicazioni polmonari sofferte a causa dell’influenza, resterà sempre precaria. (Fine)

LA PRIMA QUINDICINA DI OTTOBRE

Prime cifre

L’Ufficiale Sanitario del Comune di Borgotaro, dottor Giovanni Spagnoli, veniva invitato dalla Prefettura di Parma a compilare, oltre i soliti elenchi mensili contenenti i dati relativi ai decessi di ogni genere, anche un “telegramma espresso di Stato” giornaliero col quale si dovevano segnalare soltanto i nomi delle persone decedute per “spagnola”, nonché quelli di coloro che colpiti dalla malattia presentavano gravi complicanze.

Dalla consultazione di tali telegrammi apprendiamo così che nella prima quindicina del mese di ottobre furono quarantuno le persone segnalate perché colpite da “spagnola” con gravi complicanze. Di queste, ventuno moriranno nel giro di pochi giorni.

Ciò significa che ogni due ammalati con complicanze, uno moriva.

Come si può notare la maggior parte delle persone risulta risiedere a Borgotaro(28), a Belforte(4) e a San Vincenzo(3). Appunto queste località possono essere considerate, come dimostreranno anche i dati successivi, i principali focolai dell’epidemia nel territorio del nostro comune.

Statisticamente, comunque, il primo caso ufficiale di “bronco-polmonite da influenza” denunciato dall’Autorità Sanitaria, si verificò a San Vincenzo. Si trattava, come già accennato, di Domenico Delmaestro di anni 44. Il suo nome, tuttavia, non si trova tra quello delle persone decedute.

I dati evidenziano anche la presenza tra le vittime, fin dalla prima quindicina, di due militari e due profughi.

Per quanto attiene all’età delle persone decedute, la “spagnola” non pare infierire su una particolare fascia d’età. Infatti abbiamo bambini di pochi anni, qualche anziano, ma anche molti giovani e persone in età lavorativa.

Ecco l’elenco completo con la data di inizio malattia e quello dell’eventuale successivo decesso(i nomi delle persone decedute sono in corsivo-neretto).

Sociali Irma N. N. anni 16 29/09/18 Bronco-polm.infl. 01/10/18 Belforte

Spagnoli Maria Giacomo anni 68 04/10/18 Borgotaro

Ferranti Giovanni Giuseppe anni 27 Bronco-polm.infl 07/10/18 Profugo

Rotelli Maria in Barusi anni 38 04/10/18 Bronco-polm. infl. 08/10/18 Borgotaro

Brugnoli Luigi Giovanni anni 53 07/10/18 " " " 12/10/18 Borgotaro

Tosi Maria M.Antonio anni 28 12/10/18 S.Vincenzo

Scagliola Margherita Giuseppe anni 12 04/10/18 " " " Borgota
Bini Isacco anni 23 07/10/18 " " Borgotaro

Baruffati Nino Cesare anni 22 07/10/18 " " " S.Vincenzo

Mussi Armando Giacomo anni 14 09/10/18 9/10/18 Borgotaro

Scagliola Maria Antonio anni 60 11/10/18 Borgotaro

Pini avv. Enrico anni 28 10/10/18 Gastrite grave Borgotaro

Costa Angela Giuseppe anni 25 10/10/18 Bronchite infl. Borgotaro

Zanrè Ernesta Giovanni anni 20 10/10/18 Bronchite infl. 12/10/18 S.Vincenzo

Da Pozzo Giobatta Gio Batta anni 57 13/10/18 Profugo

Brugnoli Maria Giuseppe anni 75 15/10/18 Borgotaro

Benassi Adele anni 29 10/10/18 Bronchite infl. 16/10/18 Borgotaro

Mussi Veronica Luigi anni 15 10/10/18 Bronchite infl. Borgotaro

Bonici Luigi Antonio anni 26 10/10/18 Bronchite infl. Borgotaro

Marchini Enzo Gio Battista anni 7 10/10/18 Bronchite infl. Borgotaro

Cavazzini Francesco Giovanni anni 3 10/10/18 Bronchite infl. 19/10/18 Belforte

Acquistapace Linda Savino anni 20 10/10/18 Enterocolite infl. Borgotaro

Gasparini Caterina anni 78 10/10/18 Bronchite infl. 17/10/18 Borgotaro

Ferrari Giovanni Giacomo anni 59 12/10/18 Bronco-polm.infl. Borgotaro

Leonardi Maria in Franza anni 33 12/10/18 Bronco-polm.infl. Borgotaro

Cordani Vincenzo Costantino anni 46 12/10/18 Bronco-polm.infl. 14/10/18 Borgotaro

Ferrari Margherita in Onesti anni 67 12/10/18 Bronco-polm. infl. Borgotaro

Cavazzini Giovanni Giuseppe anni 36 12/10/18 Bronco-polm.infl. 1 7/10/18 Belforte

Previ Natale Antonio anni 59 12/10/18 Bronco-polm.infl. Borgotaro

Albano Vincenzo Giuseppe anni 24 12/10/18 Bronco-polm.infl. 18/10/18 Militare

Molinari Giuseppe Luigi anni 7 12/10/18 Bronco-polm.infl. Borgotaro

Fusina Attilio Giovanni anni 17 12/10/18 Enterite infl. Belforte

Ardissi Florinda Ottavio anni 17 12/10/18 Enterite infl. Gorro

Bazzani Giuseppe Antonio anni 13 12/10/18 Bronco-polm.infl. 12/10/18 Borgotaro

Bazzani Giovanni anni 1 13/10/18 13/10/18 Borgotaro

Baudassi Nino Romano anni 10 14/10/18 Pleuro-polm.infl. Borgotaro

Spagnoli Antonio Daniele anni 9 14/10/18 Pleuro-polm.infl. Borgotaro

Ramelli Romualda anni 15 14/10/18 Bronco-polm.infl. Borgotaro

Gemignani Antonio Bortolo anni 17 14/10/18 Bronch. Enter.infl. Profugo

Capella Desolina Angelo anni 6 14/10/18 Bronco-polm.infl. 14/10/18 Borgotaro

Loigo Arturo anni 36 14/10/18 Bronco-polm.infl. 14/10/18 Militare


N.B. Sono stati conteggiati nella prima quindicina di ottobre tutti coloro che hanno contratto la malattia in tale periodo, anche se il decesso è poi avvenuto successivamente al 15 ottobre.

L’eccezionalità della situazione, la fretta di agire, le oggettive difficoltà di comunicazioni( non si deve dimenticare che il dottor Spagnoli raggiungeva le molte frazioni a cavallo e solo in rari casi le abitazioni potevano essere raggiunte con il taxi di Rampa), l’accumularsi delle segnalazioni di tipo giornaliero, settimanale e mensile, indurranno l’Ufficiale Sanitario in alcuni errori sia in riferimento al numero dei decessi che all’età delle persone e alla data di morte. Spesso il medico veniva informato in ritardo dei vari decessi e doveva fidarsi della testimonianza dei parenti o dei vicini sull’età e la data di morte. Questo giustifica alcune lievissime discordanze che ho potuto rilevare dal confronto tra le denunce settimanali, mensili e giornaliere e tra queste e gli atti di morte contenuti nel Registro di Stato Civile. Inoltre alcuni decessi avvenuti presso l’ospedale che si riferivano a militari, prigionieri o persone di passaggio a Borgotaro, venivano denunciati dalle Suore per mezzo di elenchi informali, spesso carenti di dati.
L’elenco alfabetico dei morti a causa di “spagnola” che viene riportato in fondo al volume è il risultato di un attento confronto tra le varie fonti e tiene anche conto delle trascrizioni di atti di morte relativi a soldati borgotaresi deceduti sotto le armi a causa della “spagnola”. Riteniamo, quindi, possa considerarsi il più completo.
Mancano le casse da morto
L’alto numero dei decessi dovette cogliere di sorpresa le autorità locali, infatti il 15 ottobre il Sottoprefetto del Circondario di Borgotaro inviava al Sindaco la seguente lettera “urgentissima”:
Mi consta che da ieri trovansi giacenti nella camera mortuaria dell’ospedale tre cadaveri, di cui uno dal 13 corrente, a causa, mi si dice, della mancanza di casse per poterli seppellire.
Data la gravità del male che imperversa nel Comune, la S.V. comprenderà la necessità che i cadaveri siano il più sollecitamente sotterrati.
La prego pertanto, provvedere per l’inumazione dei cadaveri non oltre mezzogiorno di oggi, e l’avverto che, in casi contrario, subentrerà questo Ufficio in tale provvedimento”.
f.to Bozzoli[1]
Il giorno seguente il Sindaco di Borgotaro rispondeva:
In riscontro[…]informo la S.V. che per due degli accennati tre cadaveri venne già provveduto e che per uno si sta provvedendo ora. Il ritardo è stato causato dalla mancanza di tavole per la costruzione della cassa. Questa Amministrazione allo scopo di evitare i reclamati inconvenienti cercherà, se le sarà possibile trovare legname, di tenersi una conveniente scorta di casse”[2].
La mancanza di legname in una zona ricca di boschi come la nostra, può meravigliare il lettore, occorre quindi precisare che durante la guerra erano stati istituiti su tutto il territorio nazionale degli appositi “Comitati Legname” che avevano il compito di requisire materiale legnoso che veniva inviato al fronte per costruzione baracche, ospedali da campo, trincee ecc.
Il materiale requisito sui nostri monti veniva inviato al “Deposito Legna d’Armata” di Parma.
E’ infatti dalla Direzione di questo che in data 15 ottobre si autorizza la “segheria militare” di Borgotaro alla “cessione al Comune di Borgotaro di tavole per casse mortuarie, dietro pagamento”. Come si può notare dalla documentazione che si riproduce, si tratta di “tavole di ontano n.19 per mc. 2.000”.[3]
Borgotaro
Chi dovesse pensare al Borgo di allora, quello del tempo della spagnola, avendo come riferimento l’attuale, cadrebbe in un grande errore.
Alfredo Panzini, scrittore romagnolo, nel suo libro “Viaggio di un povero letterato”(1913) così descrive il nostro paese, dopo esservi capitato quasi per caso:
“..perché ho preso questo deserto piccolo treno che da Sarzana va a Parma? Non lo so. So che sono padrone di tutta la prima classe…dopo due ore che il treno saliva, mi venne in mente che, poi, avrebbe cominciato a scendere. Così avvenne che mi trovai a terra.
- Guardi che il treno parte subito.
- Rimango.
Fu per tale ragione che sono disceso a Borgotaro, luogo deserto fra i monti. Ma dove è Borgotaro? E’ lontano dalla stazione deserta e solitaria là dove io ero. Ma cosa fare lì? Il paese di Borgotaro si disegna a corona, distante circa un chilometro dalla stazione. Un nastro di strada, larga, bianca, vi conduce. Mi avviai piano piano
Borgotaro!
Borgotaro triste, cadente, diroccato borgo, chiuso nelle mura dell’antico castello. Come fa la gente qui a consumare le ventiquattro ore dell’esistenza giornaliera?
Io non ci potrei consumare due ore. Mi ricordai che presso questo castello passò negli anni 1494 Carlo VIII, re di Francia, quando mosse alla conquista del Reame di Napoli. Il meriggio divampava ardente fra i silenzi dell’Appennino. I bimbi, infilzati su le baionette bulgare, mi chiamarono alla mente il Re Carlo VIII, con la lancia alla coscia, che infilzava l’Italia. Queste stravaganti fantasie mi ballavano dolorosamente nella testa in quel meriggio. Tutt’effetto di nervi non riposati. Se avessi riposato a Pisa, il pensiero doveva essere questo: Dove è un’osteria? Dove si mangia bene a Borgotaro?
Me ne tornai indietro da Borgotaro senza far colazione, in compagnia di un vecchio che incontrai per via“.
Questa era l’impressione che il Borgo offriva a chi vi arrivava per la prima volta!
La cittadina era tutta raccolta all’interno delle sue mura, anche se in qualche tratto ormai demolite, e le poche costruzioni sorte fuori del centro erano l’edificio scolastico da poco ultimato, la villa Baruffati nel viale, il lazzaretto in Pareto, il vetusto, antigienico albergo Datti, situato al di la del Rio Ri, nei pressi dell’attuale Albergo Roma e la Stazione ferroviaria che i progettisti avevano voluto tenere lontana più d’un chilometro dal centro.
Le auto potevano entrare nel centro dal lato di Porta Nuova e non v’era altro modo d’entrare né d’uscire perché l’attuale via Brigate Julia che dal Portello conduce verso la Chiesa di Sant’Antonino ancora non esisteva. I carri vi avevano accesso anche attraverso la salita di Porta Portello che immetteva direttamente nella via Principale, allora Via Vittorio Emanuele.
Soltanto qualche anno dopo arriverà la grande espansione edilizia, con la costruzione dell’Albergo Appennino(1924), dell’Albergo Roma(1926) e l’edificazione dell’intera lottizzazione “Pareto”, tanto vasta da essere chiamata “Borgonuovo”.
Nell’autunno del 1918, quando improvvisa s’affacciò la spagnola, al Borgo si stava vivendo una situazione particolarmente delicata.
Intanto dal fronte di guerra giungeva uno stillicidio di cattive notizie: già 156 erano i caduti e numerosi i feriti gravi, tornati senza una gamba, un braccio o un occhio. Immaginiamoci l’impatto di quei morti e di quei mutilati, mariti, padri o figli che fossero, sulla popolazione. Nello stesso tempo la guerra aveva portato nuovi disagi. Da una parte le notevoli restrizioni anche di tipo alimentare con razionamenti di carne, pane e mercato nero d’altri generi quali latte e uova introvabili se non a prezzi proibitivi[4], dall’altra la presenza in paese di colonie di profughi, di varie compagnie di militari e di numerosi prigionieri di guerra.
Convivenze non facili: profughi poveri, disperati e litigiosi, costretti a vivere alla giornata; militari d’ogni sorta(61° fanteria, 5° Genio, Compagnia Boscaioli, Carriaggi, Drappello ferroviario ecc.) che non solo avevano occupato il nuovo edificio scolastico e il Teatro Comunale, ma tenevano cavalli e muli in stalle poste nel centro del paese provocando, come vedremo, non pochi problemi anche d’ordine igienico; prigionieri ovunque: nella chiesa di San Rocco, a Ghiaia Campana e nelle varie frazioni, la cui sopravvivenza spesso era affidata al buon cuore dei borghigiani.[5]
A tutto questo s’aggiunga l’assenza degli uomini più validi impegnati al fronte, con famiglie alle prese con tante difficoltà.
Su questa comunità, a partire dall’ottobre, stenderà la sua ombra di morte la spagnola, che in tre mesi si porterà via un numero di morti quasi uguale a quello registrato tra i militari in quattro anni di guerra.
 
La maestra di San Vincenzo
Maria Anita Tosi aveva 28 anni: da cinque aveva ottenuto il posto d’insegnante elementare a San Vincenzo, frazione del Comune di Borgotaro.
Una pluriclasse pesante perché frequentata anche dai bambini della vicina frazione di Rovinaglia.
Nativa di Pontremoli, Maria Anita aveva dovuto trasferirsi a San Vincenzo perché i mezzi di trasporto d’allora non consentivano il pendolarismo. Le era comunque bastato un anno per far breccia nel cuore di Giuseppe Costadasi, appartenente ad una delle più antiche famiglie del posto e metter su casa. Si sposarono e l’unione fu presto allietata, ad un ritmo biennale, dall’arrivo di Dirce(1914) Giulia(1916) e Alberto(1918).
La mamma, per seguirla ed esserle d’aiuto, aveva lasciato anche lei Pontremoli per aprire un negozio a Borgotaro, in Via Nazionale, allora Via Vittorio Emanuele.
Domenica, 6 ottobre, Maria Anita, insieme al marito, si era recata a Borgotaro nell’abitazione della mamma presso la quale, ormai che la scuola era iniziata, viveva Dirce, la sua figliola di quattro anni. Nella casa di San Vincenzo teneva Giulia di due e l’ultimo arrivato che le dava un gran da fare. Per fortuna una buona mano le veniva da Ernesta, una sua cugina di diciannove anni che essendo rimasta orfana di madre, cercava nella zia quell’affetto che forse la matrigna non sapeva darle.
Mentre, verso sera, rientrava a piedi a San Vincenzo, Maria Anita cominciò a sentire una certa spossatezza e qualche brivido percorrerle il giovane corpo. Non se ne preoccupò più di tanto, d’altra parte con una famiglia così pesante e un piccolo da allattare, altro che spossatezza.
La sera, al lume della lucerna a olio, mise a letto Alberto e Giulia, poi rimase per un poco nei pressi della stufa nel tentativo di scaldarsi e scacciare quei brividi che stranamente s’accompagnavano ad un viso che sempre più andava avvampandosi. Si sentì addosso un febbrone…e si coricò con il pensiero rivolto ai figli e agli scolari, sperando in cuor suo che l’indomani avrebbe ripreso a servire questi e quelli.
Il mattino seguente non vi fu miglioramento, per cui il marito pensò bene di isolare i bambini e chiedere l’intervento del medico dottor Giovanni Spagnoli che giunse sulla tarda mattinata con il suo cavallo dal pelo marrone[6].
Ci volle poco al medico diagnosticare una “bronco polmonite da influenza”. Non restava che sperare nella buona sorte.
Vicino al letto di Maria Anita, stava spesso Ernesta che faceva la spola tra i bambini e la cugina. Invano quest’ultima la invitava a starle lontana, ma alla ragazza non sembrava vero di potersi rendere utile alla persona che sempre l’aveva aiutata.
Martedì 8 ottobre, la febbre non diede tregua e nel pomeriggio Maria Anita, la giovane maestra di San Vincenzo, morì.
Forse il suo ultimo pensiero andò ai piccoli figli che lasciava soli, tra sé sperando nell’aiuto di Ernesta.
La morte arrivò lasciandole questa illusione, infatti Ernesta pagherà a caro prezzo la sua generosità e l’affetto per la cugina: più sfortunata degli altri contrasse il virus di quella mortale influenza e nell’elenco delle persone decedute di “spagnola” troviamo, sotto la data del 12 ottobre, il suo nome: Ernesta Zanrè di anni 19, di Giovanni e Metilde Costadasi.
Qualche giorno più tardi[7], nella casa di Pradolino, morirà anche Giuseppe, di soli due anni, fratellastro di Ernesta.(Fine)

Al “caru pian” d’ Maslon

A quel tempo, benché il cimitero fosse lontano, s’usava portarvi a spalla la bara con il defunto. Il paese era ancora chiuso all’interno delle sue mura e l’unica costruzione importante posta al di fuori, era il nuovo edificio scolastico. Ci si conosceva quindi tutti e ogni funerale vedeva la partecipazione dell’intero paese.
Ai tempi della spagnola, precise disposizioni vennero a vietare non solo gli annunci mortuari, il suono delle campane a morto, le cerimonie in chiesa, le corone, ma anche i funerali, ossia il trasporto al cimitero. Se si può comprendere il pericolo di contagio rappresentato dal grande concorso di gente che si verificava in occasione dei funerali, incomprensibili dal punto di vista della prevenzione erano gli altri divieti, il cui scopo era soltanto quello di non allarmare la popolazione e nascondere, di fatto, quello che stava accadendo.
Nelle città, i divieti riuscirono in parte a nascondere l’entità della tragedia in corso, ma nei paesi come il nostro, tutti sapevano quando una persona s’ammalava, figuriamoci in caso di morte.
Ogni villaggio, paese, o città, s’organizzò a suo modo.
A Borgotaro “Maslon”, che di nome faceva Antonio Boffetti, ebbe l’incarico del trasporto delle salme al Cimitero.
All’epoca aveva 57 anni, abitava, e aveva la stalla, nella casa che fa angolo tra via Battisti(allora Via di Mezzo) e la Via San Domenico.
Erano molte le famiglie al Borgo che vivevano grazie alla razza equina, tanto che nel centro numerose erano le stalle. In assenza, o quasi, di strade “roteabili”, i trasporti avvenivano quasi sempre a dorso di mulo: legna, carbone, castagne, vino che dalle frazioni venivano condotti in paese, trovavano nelle lunghe carovane di muli il mezzo di trasporto più usato.
I più fortunati e benestanti utilizzavano i cavalli, che esigevano cure maggiori, necessitavano di carri con ruote e finimenti costosi.
Anche tra costoro v’erano differenze e si distinguevano in “casuneri” e “barateri”. I primi in genere avevano un solo cavallo, a volte un mulo, con un carro a quattro sponde e due ruote molto alte. La loro attività abituale era quella di andare al Taro per caricarvi e trasportare ghiaia, sabbia o sassi, questi ultimi da portare ad uno dei due stabilimenti per la produzione di calce e cemento presenti in loco.
I “barateri” appartenevano alla categoria più elevata del settore. Avevano una stalla con più cavalli; anziché “ al cason”, avevano la “bara” sempre a due ruote, con due sole sponde laterali, adatta per carichi voluminosi e più “nobili”.
Maslon era un “barater’” ed effettuava trasporti da e per la Stazione Ferroviaria, ma a volte si spingeva per servizi anche a Parma e a Varese Ligure.
Il massimo per un “barater’” era avere “al caru pian”, di grande superficie, quattro ruote di minori dimensioni, senza sponde. Ciò permetteva il trasporto anche di merce voluminosa e maggiore facilità di carico e scarico.
Maslon apparteneva a questa categoria, così il Sindaco per il trasporto dei cadaveri al cimitero, pensò subito a lui e al suo “caru pian” che, avendo lo “snodo” in corrispondenza delle prime due ruote, aveva facilità di manovra e poteva quindi muoversi agevolmente per le vie del paese.
Ogni mattina Maslon si portava con il carro a Ghiaia Campana, un chilometro fuori del paese, dove si trovavano numerosi prigionieri austriaci, e cominciava il suo lungo e triste viaggio che, attraverso le varie vie del paese, sarebbe terminato al cimitero.
Lungo la strada avrebbe raccolto, portone per portone, le salme, non sempre in cassa, che la spagnola aveva voluto ghermire.
E’ rimasto a lungo nella memoria dei vecchi il ricordo di quel carro, che gli zoccoli del cavallo urtando il selciato in pietra, annunciavano da lontano.
Ogni mattina, quando al “pian” d’ Maslon cominciava il suo lento, lugubre cammino lungo le vie del paese, da dietro gli stipiti delle finestre centinaia di sguardi scrutavano il carro per rendersi conto del numero dei morti dell’ultima nottata. In questo modo ogni bara, prima che Maslon uscisse da Porta Portello per prendere la lunga erta che portava al Cimitero, veniva accompagnata da questi sguardi che preoccupati e impietositi erano, a loro modo, un forma di funerale virtuale.
A questi sfortunati, infatti, non era nemmeno consentito l’onore del cimitero. A loro venne riservata una zona esterna sul lato che dà verso il paese. Ammucchiati in fosse comuni, venivano abbondantemente ricoperti di calce viva, prima che su di loro venisse cosparsa la terra.
Una “nota spese” presentata da “Maslon” mostra, più di ogni altro dato, quale doveva essere il clima che si stava vivendo in paese, al punto che lui stesso non conosceva le generalità delle salme che trasportava al cimitero.
La sua nota, che sembra quasi riferita a merce e non a cristiani, inizia con “un militare profogo N.1 - £.15” e poi “due done profoghe N.2 - £.30”. E più avanti “Preso a San Roco quelo di Bonici - £.15”; “Un banbino di Nangö - £.15[8].
Quello del trasporto dei cadaveri al cimitero, doveva essere a quei tempi un buon lavoro. Agli atti si trovano molti pagamenti a persone diverse. Parrebbe di capire che questi ultimi esplicassero il loro ufficio nelle zone dove il carro “d’ Maslon” non riusciva a giungere. Costoro infatti, diversamente da lui, ricevevano dal comune un compenso di £ 30, anziché 15.
Risultano, tra coloro che effettuano tali trasporti: Giuseppe Dallara(salma di Giuseppe Bazzani); Lazzaro Leonardi(salma di Luigi Brugnoli); ancora Giuseppe Dallara(salme di Maria Spagnoli e Tambini Egidio)
Maslon doveva essere di pelle dura, se ebbe la fortuna di non contrarre la spagnola. Meno fortunata fu la moglie, Catterina Delnevo che, a parere della nipote Rina Boffetti, morì di spagnola.
In realtà il suo nome non risulta tra quelli segnalati dall’Ufficiale Sanitario, segnalazioni che come diremo più avanti, terminano con il 31 dicembre. Catterina muore invece il 10 maggio 1919.
La licenza (1)
Angelo Capella era orgoglioso dei suoi figli: ne aveva cinque. Quattro femmine, Maria(1906), Clementina(1908), Giuseppina(1909), Desolina(1912) e un maschietto di nome Giovanni: l’ultimo della nidiata, di soli quattro anni.
Un vero peccato, per Angelo, non poter essere con loro, ma trovarsi al fronte impegnato in una guerra che pareva non finire mai.
Ricordava bene il viso delle bambine, ma di Giovanni, che aveva potuto vedere soltanto per pochi giorni l’anno prima, non rammentava nulla. A volte, quando non era di turno alla trincea, si chiedeva come fosse quell’ultimo figlio: biondo o scuro? Magro o paffutello? Calmo o vivace? Quel maschietto l’aveva tanto atteso ed ora ch’era finalmente arrivato non poteva goderlo.
Al fronte, ogni tanto, si sentiva parlare di “grande offensiva”, di “attacco finale”, parole che nulla di buono promettevano ai combattenti, ma Angelo pensava che se ciò fosse servito a porre termine alla guerra, avrebbe accettato anche quel rischio. Nei momenti in cui era preso dalla paura, il suo pensiero andava ai figli: sì, valeva la pena giocarsi tutto e sperare di poter tornare al più presto in famiglia.
Grande fu la sorpresa il giorno in cui, insieme alla solita lettera, trovò la foto dei bambini. Nessun regalo sarebbe stato più gradito. Finalmente poteva vederli com’erano: belli, ben messi, simpatici. Aveva una brava moglie. La “grande offensiva”, ormai, non lo avrebbe più spaventato.
Rosa Marioni, la moglie di Angelo, viveva con i figli due passi fuori dal Borgo, in località Pianazze. Una casa di scarse pretese: una cucina, una sala e due camerette.
Le bambine frequentavano la scuola, mentre Giovanni stava con la mamma tutta la giornata.
Poi tutto cambiò d’improvviso. Angelo non se l’aspettava, ma la domanda avanzata ai superiori per ottenere una licenza di quindici giorni, giustificata dalla necessità di provvedere alla vendemmia, venne accolta. Si trattava della classica “licenza agricola”.
Arrivò al Borgo verso la fine di settembre, avrebbe trascorso quindici giorni con la famiglia lontano dalla trincea e da quella guerra spietata(1-continua).

Le iniziative del Comune
Di fronte a quella che si stava ormai configurando come una vera e propria epidemia che stava decimando la popolazione del Borgo, il Consiglio Comunale pareva incapace di assumere la benché minima iniziativa. Anch’esso decimato per l’assenza continua di sei membri richiamati sotto le armi, ma anche perché non v’era famiglia che non contasse un ammalato, s’incontravano non poche difficoltà a riunirlo.
In realtà il 15 ottobre, quando già erano decedute 12 persone, il Sindaco aveva inviato al Prefetto di Parma il telegramma che segue:
Dato estendersi influenza anche nelle frazioni e in forma grave, locali medici sono impossibilitati disimpegnare servizio. Prego inviare almeno 2 medici”[9].
La risposta del Prefetto dott. Colla giunse il 18 dello stesso mese.
Riscontro dispaccio odierno…spetta a V.S. provvedere per assegnare assistenza sanitaria con altri medici. Questa Prefettura non ne ha…Se in loco trovasi qualche medico militare…inviare generalità al Corpo per richiedere che coadiuvi[10].
L’iniziativa dovette avere un esito positivo. Lo dimostrerebbe una lettera del 22 con la quale il Capitano Fantucci, Comandante del Presidio Militare di Borgotaro, comunicava al Sindaco che “d’ordine della Direzione Sanità Militare il medico Capitano Francesco Mannino collabori con ufficio sanità di Borgotaro[11].
Il 24 dello stesso mese il Mannino si metteva a disposizione dell’Ufficiale Sanitario e da questo destinato alle frazioni di Caffaraccia, Tiedoli, Gorro e Belforte.
Si deve comunque giungere al 26 ottobre, quando già erano decedute venti persone, per trovare un atto ufficiale dell’Amministrazione. Quel sabato veniva infatti riunita la Giunta Municipale nel corso della quale si adottava la deliberazione che si riporta:
La Giunta viste le attuali e poco tranquillanti condizioni della salute pubblica causa il prorogarsi dell’influenza
delibera
unanime di nominare una Commissione all’igiene, con preciso compito di vigilare e denunziare all’Ufficio Comunale sugli inconvenienti che possono verificarsi in materia di igiene per gli opportuni provvedimenti designando a comporla Griffith Conte Luigi, Stoto Antonio, Crema Felice, Fontana Domenico[12]”.
Non era certamente il massimo che si potesse fare, d’altra parte gli amministratori poco potevano per fronteggiare una simile congiuntura.
IIl Conte Luigi Griffith, componente della Commissione, in data 26 novembre, perderà a causa della “spagnola” il figlio Angelo di 17 anni.
Processo al paese
Come spesso capita nei casi in cui la scienza nulla può contro una malattia, si cerca di addossare la colpa all’ammalato, secondo la logica ben descritta dalla Tognotti detta “blaming the victim[13]. L’ammalato viene redarguito per i suoi comportamenti e le sue abitudini di vita: “Mangi poco e male, la tua igiene lascia a desiderare, sei imprudente e così ti ammali. Colpa tua!”
Pare, infatti, strano che le varie Autorità s’accorgano di certi inconvenienti soltanto nei momenti di grande difficoltà.
Così le recriminazioni, le diffide, le denunce, le segnalazioni che improvvise e numerose spuntano in quei giorni, non sono forse un inutile polverone sollevato da chi non sapendo come affrontare la pandemia cerca di salvarsi almeno la coscienza? Non si può dire che in Borgotaro i problemi non esistessero, ma è certo che erano gli stessi degli anni precedenti per i quali nessuno mai si era preoccupato di denunciare o eliminare.
Il via alle polemiche partiva dal Sotto Prefetto di Borgotaro che scriveva al Sindaco, in data 9 ottobre 1918, quando già si erano verificati vari decessi per spagnola, una lettera dura e circostanziata.
Le condizioni sanitarie generali e locali impongono urgentemente l’adozione di rigorose misure di pulizia e profilassi per contrastare il dilagare della epidemia di influenza, o quantomeno impedire che essa assuma carattere più pericoloso e grave.
La prima questione che si impone è la pulizia dell’abitato, sin qui assai trascurata.
Anzitutto occorre provvedere ad una più regolare e razionale spazzatura delle immondizie, con disinfezione delle strade e dei locali più frequentati e più facilmente soggetti ad infezione. Se manca per tale provvedimento il personale civile, so che l’Autorità militare è disposta a dare soldati, e ad essi bisogna ricorrere se è necessario.
Occorre poi invitare l’Autorità Militare a curare la pulizia e disinfezione delle stalle ove detiene cavalli e muli, e a mantenere pure una rigorosa pulizia nelle località pubbliche, ove pratica il governo dei cavalli. Occorre pure distribuire disinfettanti ai proprietari di stalle nel centro dell’abitato.
E’ poi necessario allontanare, approfittando almeno di questa occasione, tutti i depositi di immondizie che anche in tempi normali infettano la città, e mi consta invece che dietro la casa Corsini si continua a depositare rifiuti di ogni genere con una sfida al più elementare buon senso e ad ogni norma di igiene[14]”.
Dopo aver evidenziato vari inconvenienti e suggerito alcuni interventi, il Sotto Prefetto passava a ulteriori denunce, mettendo a nudo una situazione di estrema delicatezza.
Oltre la pulizia, deve l’Amm.ne Comunale curare il miglioramento delle condizioni della popolazione nei rapporti dell’alimentazione. Io mi sono già interessato presso la Prefettura per avere una maggiore assegnazione di carne; altrettanto deve fare il Comune e frattanto curare che la poca quantità assegnata vada a favore prima degli ammalati e poi della popolazione che ne ha bisogno. Mi consta che certe osterie dispongano quasi tutti i giorni di carne: ciò non è giusto perché salvo poche eccezioni, chi frequenta le osterie lo fa non per stretto bisogno, e quindi, vincendo i legami di parentela o le altre simpatie, alle osterie stesse deve essere concessa la sola quantità di carne per le persone che non avendo famiglia, sono costrette a frequentarle, e nella stretta misura corrispondente alla razione concessa agli altri cittadini.
Così dovrebbe l’Amm.ne curare di superare la crisi della deficienza di uova sul mercato, e del latte, procedendo anche rigorosamente contro i rivenditori di esso, che lo adulterano nel modo più indegno , e purtroppo finora colla sicurezza della impunità. Il campo che si presenta a cotesta Amm.ne è senza dubbio vasto e difficile, ma essa mancherebbe ai suoi più elementari doveri se trascurasse in questo grave momento le misure atte a tutelare la salute pubblica.
Gradirò essere informato dei provvedimenti adottati.
Il Sotto Prefetto
Bozzoli[15]
Sulla lettera ognuno è in grado, penso, di formulare le proprie considerazioni. Ritengo tuttavia opportuni alcuni chiarimenti.
Durante la Prima guerra mondiale, come già è stato detto e ancora si dirà, erano in atto alcune restrizioni: in particolare animali da carne e legname venivano requisiti e ridistribuiti.
Per la carne, ad ogni centro veniva assegnato un quantitativo giornaliero che veniva determinato tenendo conto di tanti parametri(uomini assenti perché in servizio militare, presenza di profughi, popolazione rurale in grado di sopperire alla mancanza di carne bovina con polli, conigli, cacciagione ecc.). Ciò chiarisce la frase del Sotto Prefetto che parla di “ maggiore assegnazione di carne”.
A Borgotaro, a differenza di altri comuni dell’Appennino Parmense, era presente un consistente nucleo urbano all’interno del quale viveva un numeroso proletariato formato dalla parte più povera della popolazione: quella che non dedicandosi al lavoro dei campi, viveva spesso di espedienti, di piccoli lavori. Queste famiglie erano le prime a risentire delle restrizioni perché impossibilitate a trovare alternative e finivano per essere le vittime principali del rialzo dei prezzi e del mercato nero. Da qui i tentativi delle Autorità per ottenere che Borgotaro avesse l’assegnazione di una maggiore quantità di carne.
Comunque la lettera del Sotto Prefetto dava il via a una serie di corrispondenze ed interventi a incominciare dalla risposta del Sindaco che in data 12 ottobre scrive:
“ Rispondo alla sua lettera […] informando:
Che ho disposto per una accurata pulizia dell’abitato, ma che questo Comune è assolutamente sprovvisto di disinfettanti, non avendone trovati né presso queste farmacie né dal droghiere Fumagalli di Parma. Ne ho chiesto però telegraficamente alla R. Prefettura.
Per le stalle occupate dall’Autorità Militare ho già scritto da parecchi giorni per lo sgombro, sgombro però che a tutto oggi non mi risulta sia avvenuto. Su tale argomento troverei opportuno il di lei intervento.
In quanto riguarda l’alimentazione informo che già da parecchi giorni questa Amministrazione si è rivolta al R. Prefetto per un aumento di carne, ed oggi ebbi comunicazione che ne vennero accordati q.li 4(quattro), aumento però che nell’attuale difficile momento della salute pubblica, è assolutamente insufficiente. Colgo perciò l’occasione per pregare da V.S. Ill.ma a voler insistere presso il predetto sig. Prefetto per una assegnazione adeguata agli attuali eccezionali bisogni aggiungendo che data la responsabilità che incombe di fronte gli innumerevoli ammalati, mi troverei nella spiacevole necessità, a tutela della pubblica salute, di dover venir meno alle tassative prescrizioni fatte superiormente relativamente ai consumi.
In quanto riguarda gli esercizi, posso assicurare formalmente, che tanto pel criterio adottato da questa Amministrazione, quanto per impossibilità, non vennero che in rarissime circostanze, e solo uno o due esercizi con gran numero di pensionati, somministrate piccolissime quantità di carne. La carne che la S.V,. Ill.ma accenna, viene invece dai vicini Comuni per quanto abbiano una assegnazione inferiore di questa città.
Per le uova la S.V. Ill.ma già conosce quanto questa Amministrazione ha fatto, ed ora non posso che aggiungere che se questo Comune non potrà avere una rigorosa ed attiva assistenza da parte dell’Arma dei RR. Carabinieri per impedire e punire severamente la poco delicata concorrenza degli incettatori specialmente forestieri, non sarà mai possibile porger riparo al grave inconveniente lamentato, e da me pure riconosciuto.
Pel latte questo ufficio sta escogitando dei provvedimenti, e spero si potrà riuscire a migliorare le attuali condizioni.
Con osservanza
Per Il Sindaco
A, Fortunati[16]
Proprio il 18 ottobre, il Comune emetteva una ordinanza con la quale veniva regolamentato il prezzo delle uova.
Questo il testo:
Visto che il prezzo attualmente in vigore per le UOVA non corrisponde più a quello che si pratica commercialmente negli altri centri;
Visto le vigenti disposizioni di legge in materia di consumi;
ORDINA
Da oggi il nuovo prezzo d’acquisto delle UOVA viene così stabilito:
Quello di acquisto dai produttori a lire 5,80 alla Dozzina
Quello di requisizione a lire 5,90 alla Dozzina
Quello di rivendita a lire 6,00 alla Dozzina
I contravventori al presente calmiere verranno denunciato all’Autorità Giudiziaria pel procedimento di legge”.
Da segnalare anche una lettera del Sindaco al Comandante della Compagnia Boscaioli nella quale, tra le altre cose, si diceva che:
rappresentando la permanenza dei cavalli di codesto spett.le Comando in questo abitato, specialmente negli attuali eccezionali momenti, un grave inconveniente nei riguardi della pubblica igiene, sarei a pregare perché detti cavalli vengano trasportati altrove. Di tale parere sarebbero anche i locali medici condotti i quali specialmente ora si preoccupano della pulizia del paese che molto influisce sulla propagazione dell’attuale epidemia.[17]
Alla quale lettera, un’altra ne seguiva del seguente tenore:
Constandomi che i soldati di codesta compagnia si recano ad abbeverare i cavalli alle pubbliche fontane, ciò che promuove giusti lagni da parte di questa popolazione, prego vivamente la S.V., Ill.ma che a tutela principalmente della pubblica igiene ciò venga subito evitato, provvedendo all’abbeveraggio dei cavalli altrimenti[18].”
Poiché anche a quei tempi non era cosa facile trovare chi fosse disponibile ad accettare la pur minima colpa, il Comando del Presidio Militare di Borgotaro, rigettava le osservazioni del Sindaco, anzi passava al contrattacco rispondendo che “…nell’occasione anzi lo scrivente quale comandante di Presidio richiama la S.V. su una maggiore cura delle condizioni di pulizia urbana che lascia alquanto a desiderare specie nelle vie interne del paese. Tale fatto in questo momento di epidemia influenzale potrebbe essere causa di maggiore propagazione del male.
E’ necessario disporre anche per più volte al giorno lo sgombro delle immondizie stradali, disinfezione con creolina e sussidiari delle rivendite ed esercizi pubblici ove in genere sostano militari e borghesi.”[19]
La licenza (2)
Dopo una settimana di lavoro, Angelo Capella pensò fosse opportuno portare un bel cestino d’uva al suo “padrone”: il signor Varazzani.
Aveva saputo che si trovava a letto ammalato e prima di ripartire per il fronte desiderava vederlo, salutarlo e ringraziarlo per il suo interessamento per fargli ottenere la licenza agricola.
Qualcuno, forse, cercò di metterlo in guardia sui pericoli di contrarre l’influenza, ma per uno che tornava dal fronte certe preoccupazioni non avevano senso. Si trattò comunque di una visita breve, ma qualche giorno dopo, quando ormai stava preparandosi a ripartire, si manifestò un attacco febbrile. Bastarono poche ore per capire che si trattava di “spagnola”. Ottenne un prolungamento della licenza e il rinvio della partenza. Fu fortunato: in pochi giorni superò la crisi. Ma la malattia aveva fatto ingresso nella casa delle Pianazze.
Fu la bambina più piccola ad ammalarsi per prima. Venerdì 11 ottobre, si manifestò un leggero rialzo della temperatura e un poco di tosse. Cosa da poco, pensò la mamma, un bel cucchiaio di miele nel latte caldo avrebbe risolto, come altre volte, la leggera costipazione.
Due giorni dopo vi fu un deciso peggioramento. Il medico parlò di influenza con complicazioni bronco-polmonari. Lunedì, 14 ottobre, Desolina moriva.
Venerdì 18, quando Desolina già era stata sepolta, Giovanni, il figlio più piccolo, s’ammalò. Le sue condizioni peggiorarono rapidamente. Anche per lui influenza con gravi complicanze bronco-polmonari: la sua sorte era segnata. Giovedì, 24 ottobre, il decesso.
Al fronte, nel frattempo, era iniziata la “grande offensiva” e le nostre truppe avanzavano ovunque.
La vittoria arrivò prima del previsto e, subito dopo, vi fu l’armistizio. Angelo Capella se l’era cavata: non sarebbe più tornato al fronte, ma quella casa senza i due figli gli negò qualsiasi segno di gioia.
L’anno dopo nascerà una bambina alla quale verrà dato il nome Desolina, in ricordo della sorella scomparsa. (2-Fine)
La seconda quindicina di ottobre
Nel corso della seconda quindicina del mese di ottobre la situazione si complicò ulteriormente e l’epidemia si mostrò in tutta la sua gravità.
Le segnalazioni settimanali dell’Ufficiale Sanitario indicavano che il morbo s’era ormai diffuso in tutto il territorio del Comune: vengono infatti segnalati malattie e decessi in tutte le frazioni.
Le segnalazioni che nella prima quindicina riguardavano quarantun persone con ventuno decessi, passarono a ottantanove con cinquantasette decessi e ciò stava ad indicare una notevole recrudescenza del male.
Ci furono giornate particolarmente “nere”: il 19 morirono cinque persone; altrettante il 21. Terribili le tre giornate del 24, 25, 26 ottobre nel corso delle quali si registrarono diciotto decessi!
La “Rumana” (1)
Nell’ottobre del 1918, la famiglia Baudassi abitava in Via dell’Archivio, ora Via Mazzini, nel palazzo ancor oggi contrassegnato dal civico n.4.
Romano, il capo famiglia, era giunto a Borgotaro alla fine dell’ottocento come operaio di un’impresa impegnata nei lavori di costruzione della ferrovia Parma-La Spezia.
Sapeva fabbricar chiodi e quella era la sua mansione nel cantiere. Al Borgo aveva conosciuto Corinna Miodini di Fornovo che lavorava presso un bar del paese e con lei si era sposato.
Quando i lavori della ferrovia terminarono, Romano decise di restare tra noi: sapeva, come detto, fabbricar chiodi e si mise a farli per conto suo. Li vendeva, insieme alla moglie, in una strana “bottega”: in Via Principale all’interno del portone di una casa posta di fronte al palazzo del Comune. Ogni mattina portava la sua merce e alla sera riportava tutto a casa. Divenne così al “ciudèin”. Gli affari non andavano male perché a quei tempi, in assenza di metalli, plastica e profilati, si lavorava prevalentemente con legname e i chiodi erano insostituibili in qualunque lavoro.
Forse lui lavorava e lei stava nel “negozio”, da qui l’appellativo “Rumana” che ancora s’usa. Non perché Corinna fosse di Roma o portasse quel nome, ma perché moglie di Romano.
Nel giro di sei anni nacquero tre figli, tutti maschi, Nino(1908), Oreste(1912), Francesco(1914) che nel 1918 avevano rispettivamente dieci, sei e quattro anni.
Lunedì 14 ottobre 1918, giorno di mercato, la “Rumana” aveva forse fatto un buon incasso. Tornando a casa aveva trovato Nino, il primo dei tre figli, in preda ai brividi.
Aveva da poco compiuto dieci anni ed era uscito scalzo, come al solito, nonostante la stagione si fosse fatta un poco fredda.
Corinna accostò le labbra alla fronte del bambino traendone la certezza che avesse la febbre. Ravvivò il fuoco, aggiunse un buon “tocu di ligna”, mise Nino nella panca e lo coprì con un panno, decidendo che lì avrebbe trascorso la notte anziché nella stanza fredda e umida. Allora le stagioni rispettavano i loro turni e ottobre era una mese decisamente autunnale.
Bisognava, tuttavia, prendere ogni precauzione con quella “spagnola” in giro, così a differenza di altre volte corse subito dal medico.
Il dottor Spagnoli, condotto e Ufficiale Sanitario del Comune, giunse poco dopo. Controllò la temperatura, palpò, auscultò, scosse il capo: un altro caso di “spagnola” e con gravi complicanze. Emise la diagnosi: pleurite-polmonite influenzale.
Nino si trovò, così, nella lista dei nominativi di coloro che, colpiti da “spagnola”, presentavano gravi complicanze: il settimo in quel giorno.(1-continua).
Elenco delle persone colpite da “spagnola” con gravi complicanze, segnalate dall’Ufficiale Sanitario nella seconda quindicina del mese di ottobre, con la data di inizio malattia e quella dell’eventuale successivo decesso(i nomi delle persone decedute sono in corsivo-neretto).
Salina Luigi Virgilio anni 25 17/10/18 Boceto
Sivelli Ismilda in Bardini anni 35 17/10/18
Stabielli Rosa Giovanni anni 8 17/10/18 Bronco-polm.infl. 21/10/18 Borgotaro
Pettenati Rosina anni 1 17/10/18 Bronco-polm.
Tambini Antonio Luigi anni 21 17/10/18 Bronco-polm. Militare
Moroni Antonio Pietro anni 43 17/10/18 Bronco-polm. Profugo
Igne Anna Antonio anni 16 17/10/18 Bronco-polm. Ent. 21/10/18 Profugo
Delmaestro Cesare Giovanni anni 4 17/10/18 Bronco-polm. 19/10/18 Tiedoli
Delmaestro Rosina Giovanni anni 5 17/10/18 Bronco-polm. Tiedoli
Leonardi Giuseppina Angelo anni 46 17/10/18 Pleuro-polm. 22/10/18 Borgotaro
Mariani Angelo Bernardo anni 1 18/10/18 Borgotaro
Vignali Giuseppe Giovanni anni 24 19/10/18 Bronco-polm. 18/10/18 Brunelli
Bartolini Leopolda anni 34 24/10/18 Bronco-polm. 19/10/18 Belforte
Burchi Alberto anni 33 Bronco-polm. 20/10/18 Militare
Delmoro Eva Egidio anni 42 Bronc-polm. 17/10/18 Profugo
Tomaselli Rosina Celeste anni 11 19/10/18 Bronco-polm. 21/10/18 Borgotaro
Mariani Maria Pio anni 4 19/10/18 Bronchite Borgotaro
Mariani Camilla Giovanni anni 12 19/10/18 Bronchite Borgotaro
Massimo Giuseppe Francesco anni 25 19/10/18 Bronc-polm.Ent. Militare
Demaldè Benso Luigi anni 26 19/10/18 Bronc-polm.Enter. Militare
Amici Francesco Nicola anni 21 19/10/18 Bronc-polm.Ent. 21/10/18 Carabiniere
Bertoncini Alessandro Antonio anni 15 Bronco-polm. 18/10/18 S.Vincenzo
Taglioni Virginia anni 28 Bronco-polm. 17/10/18 Gorro
Bertinelli Luigi Pasquale anni 55 Bronco-polm. 18/10/18 Profu
Pacifici Luigi Pio anni 27 Bronco-polm. 19/10/18 Militare
Roncalli Rosina N.N. anni 1 Bronco-polm. 19/10/18 Borgotaro
Aragosti Francesco Antonio anni 37 Bronco-polm. 19/10/18 Borgotaro
Morazzi Antonio Pietro anni 46 Bronco-polm. 18/10/18 Profugo
Cavazzini Maria Giovanni anni 2 21/10/18 Bronch-enterite 24/10/18 Borgotaro
Murena Luigi Antonio anni 21 21/10/18 Bronco-polm. 25/10/18 Borgotaro
Capitelli Angela Vincenzo anni 68 21/10/18 Bronch-enterite 26/10/18 Borgotaro
Baudassi Francesco Romano anni 4 21/10/18 Bronch-enterite 01/11/18 Borgotaro
Bazzani Luigia Giuseppe anni 6 21/10/18 Bronchite
Delnevo Rosa anni 1 Enterite infl. 22/10/18 Borgotaro
Murena Maria Francesco anni 2 Influenza 22/10/18 Borgotaro
Biolzi Giuseppina Giuseppe anni 27 21/10/18 Bronco-polm. 24/10/18 Borgotaro(Boceto)
Sostegni Comunardo Galileo anni 30 21/10/18 Bronco-polm. Militare
Bonici Domenico Antonio anni 15 Bronco-polm. 21/10/18 Borgotaro
Murena Francesco Giuseppe anni 49 21/10/18 Bronc-polm-enter. 29/10/18 Borgotaro
Delpoio Ida Antonio anni 10 21/10/18 Bronchite Borgotaro(Boceto)
Magnoli Ivo 21/10/18 Fatti polmonari Militare
Sala Teresa Giovanni anni 23 22/10/18 Bronco-polm.
Capella Giovanni Angelo anni 4 Bronco-polm. 22/10/18 Borgotaro
Capella Maria anni 12 24/10/18 Bronchite
Delpoio Rosa Luigi anni 17 24/10/18 bronco-polm. 26/10/18 Borgotaro(Boceto)
Platoni Rosa Antonino anni 47 24/10/18 Bronco-polm. 25/10/18 Caffaraccia
Marchini Vittorina Andrea anni 30 24/10/18 Bronco-polm. 28/10/18 Borgotaro
Borzoni Domenico anni 48 24/10/18 Bronchite Valdena
Costa Ottavia anni 29 24/10/18 Pleur-polm.doppia Tiedoli
Bardini Maria anni 23 24/10/18 Cat.Bronch.Enter. Tiedoli(Piani)
Bonici Anna anni 20 24/10/18 Bronco-polm.Enter. Borgotaro(Cavanna)
Delmaestro Anna Bonici anni 40 24/10/18 Polminite Borgotaro(Cavanna)
Leonardi Andrea 24/10/18 Polmonite Borgotaro(Cavanna)
Piscina Lazzaro Antonio anni 35 24/10/18 Bronco-polm. 25/10/18 Brunelli(Lago)
Zaccarini Teresa Agostino anni 39 Bronco-polm. 24/10/18 Valdena
Piscina Giuseppina Paolo anni 23 Bronco-polm. 24/10/18 Borgotaro(Boceto)
Romagnoli Giacomo anni 36 Bronco-polm. 24/10/18 Militare
Capitelli Giuseppe Domenico anni 8 25/10/18 Bronco-polm. 25/10/18 Borgotaro
Spagnoli Giuseppina Daniele anni 11 25/10/18 Meningite infl. 01/11/18 Borgotaro
Salvanelli Giuseppe Michele anni 8 25/10/18 Bronco-polm. 25/10/18 Pontolo
Spagnoli Luigia Antonio anni 54 25/10/18 Bronco-polm. Borgotaro(Macinarsi)
Zanrè Giuseppe Giovanni anni 2 Bronco-polm. 25/10/18 S. Vincenzo
Brugnoli Caterina Giuseppe anni 25 26/10/18 Bronco-polm. 01/11/18 Borgotaro
Bianchinotti Filomena Giuseppe anni 68 27/10/18 Bronco-polm. 06/11/18 Gorro
Biolzi Anna Giovanni anni 11 28/10/18 Bronco-polm. 04/11/18 Borgotaro(S.Rocco)
Salati Bruno Domenico anni 6 26/10/18 Bronco-polm. Belforte(Ostia)
Piscina Domenica Giuseppe anni 5 26/10/18 Bronch.-Enter. 29/10/18 S.Martino
Gavaini Domenico Pietro anni 40 26/10/18 Bronco-polm. Tiedoli(Piani)
Sedoni Amedeo 26/10/18 Polmonite Militare
Torniai Giovacchino anni 37 26/10/18 Polmonite 26/10/18 Militare
Bardini Clementina anni 27 Bronco-polm. 26/10/18 Gorro.
Salvanelli Giuseppe anni 16 Bronco-polm. 26/10/18 Pontolo
Cipriani Erminio anni 38 Bronco-polm. 26/10/18 Militare
Piscina Giovanna Giuseppe anni 12 Enterite.Mening. 26/10/18 S.Martino
Piscina Emilio Giuseppe anni 6 28/10/18 Bronco-polm. 28/10/18 Porcigatone
Gatti Giuseppe Vincenzo anni 31 28/10/18 Bronco-polm. Borgotaro
Molinari Domenico Giovanni anni 4 Bronco-polm. 28/10/18 Baselica
Brigati Filomena 29/10/18 Bronco-polm. Pontolo
Piscina Maria Luigi anni 35 28/10/18 Bronco-polm. 29/10/18 Caffaraccia
Marenghi don Domenico anni 43 28/10/18 Bronchite infl. 01/11/18 Caffaraccia
Delnevo Giuseppe Andrea 28/10/18 Polmonite Borgotaro
Giacopazzi Ida Giuseppe anni 17 Bronco-polm. 28/10/18 Rovinaglia
Berzolla Pietro Giovanni anni 36 29/10/18 Gastroenter. 29/10/18 Brunelli
Delnevo Maria anni 66 30/10/18 Borgotaro
Granelli Pietro anni 1 30/10/18 Brunelli
Zazzi Genoveffa Antonio anni 17 31/10/18 Caffaraccia
Berzolla Maria Giovanni anni 26 29/10/18 Bronco-polm. Brunelli
Spagnoli Matilde anni 28 29/10/18 Bronco-polm. Brunell
Baschieri Enrico anni 70 29/10/18 Gastroenter. Borgotaro
  La maestà del “Casà”

Domenico Gavaini di Pietro, abitante ai Piani di Tiedoli, viene segnalato, in data 26 ottobre, tra gli ammalati di influenza con gravi complicanze. La diagnosi del medico è “broncopolmonite da influenza”. All’epoca aveva quarant’anni, ma riuscì a cavarsela, e bene, considerando che morirà nel 1970, all’età di 92 anni.

Dopo la guarigione volle erigere ai Piani, in località “Casà”, una “mistà”, collocandovi un bassorilievo in marmo rappresentante l’Immacolata Concezione.

Secondo i nipoti la formella sarebbe stata recuperata in Vicolo del Teatro a Borgotaro, da una casa di proprietà della famiglia Gavaini.

Il Commissario per l’igiene Dadduzio

L’alto numero dei decessi, l’espandersi della epidemia in ogni frazione, spingevano i responsabili a nuove iniziative.
Il Sotto Prefetto in data 18 ottobre, preso atto della incapacità del Comune a provvedere alla rimozione degli inconvenienti igienico-sanitari più volte segnalati, nominava, di concerto con il Perfetto di Parma, un apposito Commissario all’Igiene nella persona del sig. Saverio Dadduzio, già Commissario di Pubblica Sicurezza presso la Sotto Prefettura.
Quest’ultimo, il giorno seguente la sua nomina, aveva subito adottati importanti provvedimenti, quale quello di proibire al pubblico l’accesso ai cimiteri del Comune.
Qualche giorno dopo(21 ottobre) i borghigiani, credo con non poca sorpresa, potevano leggere un nuovo manifesto del Commissario, contenente restrizioni particolari.
Con esso “erano vietati sino a nuovo ordine nel comune di Borgotaro tutti i trasporti funebri con cortei od accompagnamento”.
Era “permesso soltanto il trasporto del feretro in chiesa, purché vi sia, caso per caso, il nulla osta dell’Ufficiale Sanitario che il decesso non sia avvenuto per malattia infettiva e che il trasporto stesso sia effettuato col solo accompagnamento del sacerdote e di due chierici. E segua il percorso più breve.”
E ancora: “il viatico dovrà effettuarsi senza alcuna forma solenne”.
Seguiva il divieto che più d’ogni altro avrà colpito i borghigiani: “Sono vietati i rintocchi funebri delle campane a morte, ed i segnali di agonia[1].
In un paese, e in un tempo, in cui la vita era cadenzata più che dall’orologio, dal suono delle campane, il divieto colpiva le abitudini ataviche dei nostri vecchi che a seconda dei suoni sapevano capire se l’agonia era riferita a un uomo, a una donna o a un bambino.
Ma l’azione del neo-commissario, non si fermava a queste prime decisioni, e a soli quattro giorni dal suo insediamento, aveva inviato al Sotto Prefetto una circostanziata relazione nella quale faceva presente che “ …nei pochi giorni da che mi trovo in funzione in questo comune, ho dovuto constatare che i servizi di polizia urbana, compreso quello del cimitero, procedono malissimo. Le cause sono diverse, e fra queste emergono 1°- il personale vecchio od inadatto. 2°- la mancanza di direzione unica e di vigilanza.
Ad ovviare al momento a tale inconveniente riterrei opportuno che venisse provvisoriamente dato l’incarico a qualcuno di vigilare sull’andamento dei servi di polizia urbana e dei cimiteri del comune, il quale per capacità e per posizione sociale fosse in grado di ottenere il rispetto e l’esecuzione degli ordini dal personale dipendente. Sarei quindi di avviso che di tale delicato servizio venisse intanto in via provvisoria incaricato con funzioni di ispettore di polizia urbana e dei cimiteri, previo una piccola indennità mensile, questo impiegato comunale sig. Delnevo Arturo, non essendo possibile al momento, dare ad altri tale incarico.
Il Delnevo lo ritengo capace, e del nuovo incarico potrebbe occuparsi fuori delle ore d’ufficio, attesoché la sua missione sarebbe del tutto ispettiva[2]”.
Il Sotto Prefetto in data 23 ottobre, nel trasmettere al Sindaco la proposta del Commissario, aggiungeva che: “ parte degli inconvenienti che si verificano in tale materia sono dovuti alla mancanza di vigilanza su coloro che sono addetti al Servizio, in modo che a causa della trascuratezza di costoro, non sorvegliati da alcuno, l’abitato si trova nello stato deplorevolissimo che ha provocato l’invio dei Commissario.
Nel riferire su tale stato di cose, questi, per ovviare agli inconvenienti lamentati, fa la proposta della nomina provvisoria di un ispettore di polizia urbana e dei cimiteri.
Pur notando per parte mia che la vigilanza sul servizio suddetto dovrebbe essere disimpegnata dalle guardie municipali, tuttavia tenute presenti le condizioni di costoro, e del relativo servizio, nonché la necessità che non si continui in uno stato di cose che rende quasi inabitabili gran parte delle case della città, e addirittura inabitabili alcune di esse che l’igiene e la salute pubblica vorrebbero anzi demolite, io non dissento in massima dalla proposta[…][3]
Sempre nella stessa data, l’Ufficiale Sanitario del Comune, forse preoccupato della piega che stavano prendendo gli avvenimenti, inviava al Sindaco le due lettere che si riportano:
Egregio sig. Sindaco,
L’influenza, che da un poco di tempo ha fatto la sua comparsa in questo Capoluogo mietendo vittime, non tende ancora a decrescere. Molti sono gli ammalati che hanno bisogno di nutrirsi con latte e brodo e anche quelli che, per fortuna, non sono stati ancora colpiti, è bene che si mantengano in buone condizioni di nutrimento per potere meglio resistere all’insorgere della malattia; perciò è necessario che venga somministrata a tutti indistintamente la carne, in razione giornaliera limitando, se occorre, il quantitativo personale”[4]
Egregio sig. Sindaco,
Siccome l’epidemia d’influenza, che ha colpito questo Capoluogo, tende a diffondersi nelle varie frazioni di questo comune, invita la Sig. V. Ill.ma ad emettere un’ordinanza che faccia obbligo a tutti gli abitanti della campagna di allontanare dalle vicinanze delle case i depositi di letame nel termine più breve possibile, facendo comprendere che la pulizia, il più delle volte, salvaguarda dalle malattie infettive. E intanto, per cominciare a procedere a una sistematica disinfezione in tutte le ville, dia ordine che si inizi da Caffaraccia, San Pietro e San Martino, mandando un quintale di calce e alcuni chilogrammi di creolina. Sarà bene che, a quei pochi Parroci[5] che ne facciano richiesta, venga assegnato n.2 barattoli di sublimato corrosivo da sciogliersi in 100 litri d’acqua per distribuire alle varie famiglie come disinfettante, colla raccomandazione di restituire i vetri vuoti”.[6]
Finalmente le Autorità, dopo le iniziali titubanze, stavano assumendo concrete iniziative.
In occasione della Commemorazione dei Defunti, ricorrenza sentita ovunque, ma in modo particolare al Borgo, ove il culto dei morti trova grandi e lontane tradizioni, un avviso scritto ne sopprimeva lo svolgimento, consentendosi soltanto la possibilità di consegnare fiori e lumini agli addetti che avrebbero provveduto a collocarli sulle tombe.
Il Commissario Dadduzio terminava il suo mandato presso il Comune il 29 ottobre, dopo soli undici giorni. Non sappiamo quanto ciò possa essere dipeso dalla sua azione decisa, dalle sue denunce circostanziate, con riferimenti anche personali.
Ciò può aver creato non pochi problemi nel ristretto ambito dell’enturage comunale, dove il Dadduzio con il suo attivismo potrebbe aver creato qualche contrarietà, se non invidia.
Fanno pensare a tutto questo la brevità del suo incarico e le difficoltà che lo stesso ha incontrato per farsi liquidare dal Comune l’indennità che gli spettava per il servizio reso.
E’ del 12 novembre una lettera del Sotto Prefetto al Sindaco nella quale si dice: “Prego la S.V. provvedere perché a questo Delegato di P.S. sig. Dadduzio sia liquidata l’indennità dovutagli quale Commissario Prefettizio presso questo Comune dal 19/10 a tutto il successivo 29(11 giorni), indennità già fissata dal Signor Prefetto della Provincia e che perciò avrebbe dovuto essergli subito liquidata”.[7]
Lettera che pare non esser bastata se il giorno 15 novembre il Sotto Prefetto nuovamente si rivolgeva al Sindaco scrivendo: “Trasmetto alla S.V. copia del mio Decreto 18/10/1918 n.1330 con il quale per delegazione Prefettizia ho nominato il signor Dadduzio Saverio Delegato di P.S. a Commissario Prefettizio presso codesto Comune, fissandogli la indennità di £ 10 al giorno a carico del Comune”.[8]
E’ del 23 novembre l’ultima lettera del Sotto Prefetto al Sindaco: “In relazione a precedente carteggio partecipo a S.V. che per aderire a domanda dell’interessato, se entro il 25 corr. non sarà stata liquidata la indennità stata stabilita al Delegato signor Dadduzio quale Commissario Prefettizio, provocherò dal sig. Prefetto l’emissione d’ufficio del mandato relativo”.[9]
In seguito deve esserci stato l’intervento diretto del Prefetto, infatti troviamo come ultimo documento del lungo carteggio, una lettera del Sindaco al Prefetto, datata 19 dicembre: “
In riscontro alla nota controcitata, pregiomi riferire che venne già emesso il mandato delle indennità dovute al Delegato di P.S. sig. Saverio Dadduzio, per il suo ufficio di Commissario Prefettizio per l’igiene.[10]
La “Rumana” (2)
Per la famiglia Baudassi , che al Borgo non aveva parenti, oltre la preoccupazione per la salute di Nino, s’aggiungeva quella di impedire che gli altri due fratelli potessero essere contagiati. Per Oreste, considerato grande(sei anni), si stabilì di farlo dormire fuori casa, presso dei conoscenti. Francesco di soli quattro anni rimase invece in casa e soltanto si evitò di farlo dormire con Nino.
Il 21 ottobre, ancora di lunedì, nell’elenco degli ammalati gravi stilato dall’Ufficiale Sanitario, troviamo segnato Francesco, il più piccolo, per bronco-polmonite da influenza.
Purtroppo passeranno soltanto dieci giorni e lo troveremo nell’elenco dei deceduti per “spagnola” sotto la data del 1 novembre 1918, giorno dei Santi,
Papà Romano preparò con cura amorevole la piccola bara: sei tavole inchiodate. Quando sentì il grido da basso, prese tra le braccia la piccola cassa e scese le scale.
Non si poteva contare sull’aiuto degli altri: in quei tempi calamitosi ognuno badava a se stesso perché la paura s’era fatta più forte della pietà.
Romano prese la strada del Portello; sotto il volto c’era “Maslon” con il carro, sul quale si trovava, tra le altre, una cassa ancor più piccola: quella di Ettore Capella di soli sei mesi.
Niente funerali per loro, né per gli altri deceduti la settimana precedente, come sarà per i tanti che sarebbero morti nella settimana che stava per iniziare.
Nino riuscirà a superare la malattia che, tuttavia, lo segnerà per tutta l’esistenza.
Due anni dopo sarebbe arrivata Nina a compensare la perdita di Francesco, ma dopo soli otto giorni dalla sua nascita se ne andava Romano, lasciando alla moglie, oltre l’appellativo di “Rumana”, il compito non facile di allevare tre piccoli figli.
(Nina vive a Borgotaro, in Via Nazionale. La potete trovare nel negozio. Molti, ancora oggi, la chiamano “Rumana”. (2-Fine)
IN VALTARO
Cosa stava succedendo negli altri comuni della valle? Più o meno quanto stava accadendo a Borgotaro.
Mese di ottobre
Ad Albareto, nel mese di ottobre del 1918, il numero dei morti aveva avuto un’improvvisa impennata. La media dei decessi mensili in quell’anno si aggirava intorno ai 5/6 casi, in quell’ottobre il numero fu di 17, quasi il doppio di quelli registrati nell’ottobre del 1917 e il quadruplo di quelli verificatisi nell’ottobre 1919, come si può vedere nella tabella che segue
Albareto 1917 1918 1919
Decessi 9 17 4
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa
A Bedonia l’aumento del numero dei decessi appare ancor più consistente
Bedonia 1917 1918 1919
Decessi 11 24 4
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa
A Compiano i decessi dell’ottobre 1918 furono 8, contro i 3 del 1917 e i 5 del 1919
Compiano 1917 1918 1919
Decessi 3 8 5
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa
Nel Comune di Tornolo i morti furono 18, quasi il triplo di quelli registrati nell’anno precedente e seguente.
Tornolo 1917 1918 1919
Decessi 6 18 5
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa

Anche a Valmozzola, sia pure in modo meno evidente, si riscontrava un aumento dei decessi. L’esiguità delle cifre non può nascondere che i morti in quell’ottobre furono comunque il doppio e il triplo di quelli verificatisi rispettivamente nel 1917 e 1919.
Valmozzola 1917 1918 1919
Decessi 5 9 2
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa
Nella tabella riassuntiva che riporta i decessi avvenuti per qualunque causa, si può notare come il numero dei decessi riferiti all’ottobre 1918 sia quattro volte superiore a quello registrato nello stesso mese de\gli anni 1917 e 1919.
Mese di ottobre
1917 1918 1919
Albareto 9 17 4
Bedonia 11 24 4
Compiano 3 8 5
Tornolo 6 18 5
Valmozzola 5 9 2
Borgotaro 12 93(78) 19
Totali 46 169 39
* Le cifre si riferiscono a decessi per qualunque causa. Soltanto per Borgotaro è stato messo tra parentesi il dato riferito ai soli decessi avvenutiti per “spagnola.
Spicca, in senso negativo, il dato riferito a Borgotaro. All’epoca la consistenza della popolazione presente in questo comune non differiva molto da quella di Bedonia, come evidenzia la tabella relativa ai Censimenti del 1911 e 1921.
Popolazione Cens. 1911 Cens. 1921
Albareto 3.957 3.945
Bedonia 7.869 7.839
Borgotaro 9.292 9.954
Compiano 2.176 2.098
Tornolo 3.389 3.579
Valmozzola 2.645 2.694

Una differenza di popolazione intorno al 20%, mentre il numero dei decessi a Borgotaro è quasi quattro volte quello registrato a Bedonia.
Inoltre se si sommano i numeri relativi alla popolazione presente nei cinque comuni dell’Alta valle(Albareto, Bedonia, Compiano, Tornolo e Valmozzola) abbiamo un totale di popolazione pari a 20.155(Cens. 1921) contro i 9.954(Cens. 1921) di Borgotaro.
Ebbene i decessi nel mese di ottobre del 1918 sono 76 nel complesso dei cinque comuni e ben 93 in quello di Borgotaro.
Emerge con evidenza che quella borgotarese era di gran lunga la popolazione con la mortalità più elevata in quel mese.
Tale situazione può derivare, forse, da alcune cause che proviamo ad enunciare.
1-La popolazione del Comune di Borgotaro era la più “accentrata”, nel senso che nel centro storico era concentrata una buona percentuale dell’intera popolazione del Comune. Ciò poteva rappresentare, allora, grande facilità di contagio.
2-Nel territorio del comune di Borgotaro erano presenti tre stazioni ferroviarie(Borgotaro, Ostia e Roccamurata), centri di diffusione dell’epidemia per il continuo passaggio e sosta di viaggiatori provenenti da zone infette. Ciò spiega anche l’alto numero di decessi che si sono manifestati nelle frazioni di Belforte e Gorro, nel cui territorio sorgono le due stazioni di Ostia e Roccamurata..
3-A Borgotaro erano presenti molti uffici e strutture a carattere sovracomunale (Sotto Prefettura, Tribunale, Ufficio Catasto, Ospedale ecc.) luoghi di frequentazione da parte di numerose persone, provenienti anche da zone infette. Senza contare la presenza numerosa di profughi, militari e prigionieri.
Riteniamo siano anche questi i motivi per cui il territorio di Borgotaro è stato il primo ad essere interessato dalla “spagnola” e, come vedremo, mentre il numero dei decessi di mese in mese andrà diminuendo, nei restanti comuni si avrà un incremento dei decessi, a causa del contagio che da Borgotaro andava diffondendosi in tutta la valle. (continua in Spagnola Parte2)


[1] A.C.B. Busta Sanità 1918
[2] A.C.B. Busta Sanità 1918
[3] A.C.B. Busta Sanità 1918
[4] Qualche giorno dopo(31 ottobre), Don Domenico Marenghi, parroco di Caffaraccia, moriva vittima della spagnola.
[5] A.C.B. Busta Sanità 1918
[6] A.C.B. Busta Sanità 1918
[7] A.C.B. Busta Sanità 1918
[8] A.C.B. Busta Sanità 1918
[9] A.C.B. Busta Sanità 1918
[10] A.C.B. Busta Sanità 1918


[1] A.C.B. Busta Sanità 1918
[2] A.C.B. Busta Sanità 1918
[3] A.C.B. Busta Sanità 1918
[4] In un appunto del Sindaco, in risposta ad una richiesta, si legge: “Per le scarpe vecchie o detriti di cuoio vecchio, occorre un certificato “come per gli stracci” che dica provenire la merce da paese immune da malattie infettive”.
[5] Oreste Baudassi mi ha raccontato che in diverse occasioni sua madre gli aveva consegnato una pagnotta di pane dicendogli: -Vai a portare questa pagnotta ai prigionieri”. Lui attraversava il ponte e l’allungava, attraverso una finestra, ai prigionieri che si trovavano all’interno della chiesa di San Rocco.
[6] Testimonianza di Giulia Costadasi
[7] Il 25 ottobre tra i deceduti troviamo Giuseppe Zanrè, anni due, di Giovanni e Maria Giacopazzi.
[8] A.C.B. Busta Sanità 1918
[9] I medici in servizio presso il Comune erano due: Giovanni Spagnoli ed Eugenio Pedrini.
[10] A.C.B. Busta Sanità 1918
[11] A.C.B. Busta Sanità 1918
[12] A.C.B. Busta Sanità 1918
[13]cfr. Eugenia Tognotti, La spagnola in Italia, op. cit. pag. 53
[14] A.C.B. Anno 1918, busta Sanità pubblica
[15] A.C.B. Anno 1918, busta Sanità pubblica
[16] A.C.B. Busta Sanità 1918
[17] A.C.B. Busta Sanità 1918
[18] A.C.B. Busta Sanità 1918
[19] A.C.B. Busta Sanità 1918


[1] Archivio Comune di Borgo Val di Taro. Busta Sanità 1918
[2] A.C.B. Busta Sanità 1918
[3] A.C.B. Busta Sanità 1918
[4] A.C.B. Busta Sanità 1918
[5] A.C.B. Busta Sanità 1918
[6] A.C.B. Busta Sanità 1918





[1] G. Kolata, Epidemia, Storia della grande influenza del 1918 e della ricerca di un virus mortale, Milano, Mondadori, 2000.
[2] Charles Collier, La malattia che atterrì il mondo, Mursia, 1978
[3] Eugenia Tognotti, La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo, Franco Angeli, Milano, 2002
[4] Eugenia Tognotti, La spagnola in Italia, op. cit., pag.144