martedì 10 settembre 2013

2 - STORIA DEL CALCIO BORGOTARESE


2 – Taro-Taro - Storia del calcio borgotarese dai primordi al 1973.



Dalla mia prefazione, per spiegare com'è nato il libro.

Quella sera del 2003, eravamo in Piazzale Verdi, davanti al cinema Farnese. C’erano diverse tavolate, piene di allegria e buonumore come si conviene quando si festeggiano degli atleti che hanno conseguito grandi risultati sportivi. Avevano invitato anche noi, che da anni, purtroppo, non corriamo sui campi erbosi, se non in sogno quando ci coglie la nostalgia di quel gioco che da giovani ci aveva stregati.

Ci avevano invitati perché nel campionato 1961-62, avevamo vinto il titolo regionale della nostra categoria.

Di quella leggendaria squadra, c’eravamo quasi tutti: mancava Peppino Mariani che non è più tra noi.

Circolavano foto, s’inseguivano ricordi, episodi, partite. Fu Costantini, formidabile portiere di quell’annata, a lanciare per primo la proposta: come mai a Borgotaro non avete mai pensato di scrivere qualcosa sulla squadra di calcio?

Già, come mai?

La proposta rimase per aria e senza risposta, ma quando alla tavolata si avvicinò il Sindaco Salvatore Oppo, e con qualche emozione tese la mano a Costantini ricordandone la bravura, la proposta cominciò a farsi concreta. Disse infatti Costantini, rivolto al Sindaco:”Senta, come mai a Borgotaro non avete pensato di scrivere una storia del calcio cittadino? Lo hanno fatto dappertutto dove ho giocato. Il comune deve provvedere”.

Pronta la risposta del Sindaco: ”Caro Costantini, c’è una sola persona che può scrivere quella storia”.

Chi?”, chiese Costantini.

La persona che le sta accanto”.

Quella persona ero io. Al che Costantini mi chiese come mai il Sindaco avesse fatto il mio nome. Gli amici intervennero dicendo che facevo parte dell’Ass. Emmanueli e che ero autore di alcune pubblicazioni. Ero, ormai, in trappola. Alla fine della cena ci spostammo al Mistrello a bere qualcosa e lì, facendomi prendere dall’euforia che si respirava, mi lasciai andare ad una promessa: avrei scritto il libro per l’anno seguente.
Eccolo il libro

Lo dedico a voi tutti, cari amici di gioventù: a quelli che ci sono e a quelli che come Luciano Costella, Gualtiero Giraud, Peppino Mariani, Gianfranco Mariani, Luciano Lazzarelli e Franco Rizzardi se ne sono andati anzitempo. Sarebbe stato davvero bello che oggi fossero qui con noi.

Insieme abbiamo trascorso giornate fantastiche e felici.

E' giusto che di quelle lontane imprese lasciassimo un segno, una traccia, a ricordare un tempo gioioso e spensierato: quello della nostra gioventù, quando stregati dal gioco rincorrevamo il pallone sugli spelacchiati campi di un tempo.

Un abbraccio a tutti.

Borgo Val di Taro, dicembre 2004

Giacomo Bernardi





PRIMI CALCI

"Il primo accenno al “giuoco del pallone”, in quel di Borgotaro, lo si trova in un documento settecentesco. Siamo nel 1777 e la famiglia Misuracchi, nobile e potente, alquanto tignosa come spesso risulta da altre attestazioni, chiede alle Autorità che i giovani borgotaresi la smettano di giocare a pallone nelle vicinanze della loro Casa.
Nobile e potente quella casata, e quindi la richiesta viene accolta. Risultato: divieto di giocare al pallone nelle vicinanze di Casa Misuracchi, anche perché in non poche occasioni pare accadesse che le vetrate andassero in frantumi, con fuga generale dei giocatori e danni quindi non risarciti.
Ma in Borgo c’erano famiglie altrettanto potenti, ed erano i loro rampolli che potevano permettersi questo “pubblico divertimento”, non certo i figli del popolo votati a ben altri trastulli.
Così parte il ricorso al Duca.
Diamine, come fa la gioventù bene del Borgo a godere le meritate vacanze senza questo “giuoco del Pallone”? Ma come si permette l’avvocato Misuracchi?
L’8 luglio1777 (a scuole chiuse), arriva al Commissario di Borgotaro la risposta del Duca.

Ill.mo sig. Commessario di Borgo Taro
In vista di una recente rappresentanza stata umiliata a S.A.R. per parte di codesta Gioventù di Borgo Taro, implorante il sovrano assenso, onde potersi, come in passato, esercitare nel giuoco del Pallone, fattosi dalla R.A.S. benigno riflesso non solo di essere questo l’unico e solo divertimento di cui possa la Gioventù predetta poter godere, quanto di essere il sito più comodo, ed in acconcio quello che altre volte ha servito per detto giuoco giusta le avute informazioni; pertanto non ostante il disposto nell’anno scorso si è ora degnata l’Altezza Sua Reale di voler condiscendere alla supplichevole istanza della surriferita Gioventù, accordandole che possa in detto sito riassumere l’uso del giuoco del Pallone, a condizione però che si giuochi in maniera che non si mostri di far sprezzo alla Casa Misuracchi, tale essendo la Suprema Sua Mente e che li Giocatori si obblighino a pagare del proprio tutte le spese, che occorrer potessero per le accidentali rotture, che mai facesse il Pallone alla enunciata Casa Misuracchi, e segnatamente per quei danni che il medesimo recar potesse all’Invetriate.
Quindi commetto alla S.V. di significare tutto ciò ai Giuocatori suddetti e sotto tali condizioni permettere loro in seguito l’esercizio del giuoco predetto, confermandomi per fine con stima di V.S. obbl.mo
Da Parma 8 luglio 1777

 In una mappa del periodo, risulta che i Misuracchi fossero proprietari di due fabbricati: quanto al primo si tratta del bellissimo palazzo sito in quella che oggi è la via Nazionale, quello per intenderci che ospita a piano terra la tabaccheria Gatti e il Bar Centrale. Il secondo era situato tra quella che oggi è via Corridoni e il Viale Bottego, alle spalle della Tipografia Invernizzi. Questo fabbricato confinava con un orto di proprietà Billò che, con ogni probabilità, doveva essere il famigerato campo di giuoco.
Sia stato quel “giuoco del Pallone” più o meno uguale a quello attuale, non lo sappiamo. E’ però certo che più di duecento anni fa qualcosa di rotondo già rotolava, rimbalzava, veniva lanciato, forse calciato, visti gli effetti che provocava alle vetrate dei burberi Misuracchi".

Con un tale documentato “pedigrèe”, mi pare che non possa destare meraviglia il fatto che Borgotaro sia stato, dopo Parma e Fidenza, il polo calcistico più importante della nostra provincia. Cosa di non poco conto ove si pensi alla posizione geografica del nostro paese, al suo isolamento, alla sua lontananza da ogni città.
Ma c’è un altro zoccolo ben più sicuro e vicino a noi, alla base della tradizione calcistica di Borgotaro.
Non sono pochi quelli che si chiedono perché la squadra di Genova si chiami Genoa Football Club e non semplicemente A. S. Genova, allo stesso modo che si dice A.S.Roma, A.S. Parma.
E perché mai si debba dire Milan e non Milano, così come si dice Bari, Brescia.
Bene, scusandomi con chi queste cose ben le conosce, ricorderò ai miei lettori che il gioco del calcio è stato inventato in Inghilterra. Lord e baronetti furono i primi a disputare partite che assomigliavano a quelle di oggi.
Nell’ottocento gli Inglesi avevano colonie ovunque e possedevano una flotta poderosa che solcava i mari di tutto il mondo: erano un poco i dominatori del commercio internazionale.
Nelle più importanti città europee, specialmente dove fiorenti erano i commerci, erano presenti numerose comunità di inglesi che accanto agli affari, nei quali erano maestri, non disdegnavano di disputare partite di calcio, divulgando così uno sport che avrebbe conquistato ben presto un posto di rilievo nel cuore di tutti gli europei.
Genova, che allora era città di commerci vuoi per la presenza del porto, vuoi per l’intraprendenza degli abitanti, ospitava nella seconda metà dell’ottocento una numerosa e attiva comunità inglese.
Costoro, individuato uno spiazzo nelle vicinanze del porto, cominciarono a disputare tra loro partite di calcio, finché nel 1893 fondarono la prima squadra di calcio italiana, con padri inglesi: il Genoa Cricket and Athletic Club che ancora oggi è la più antica società di calcio italiana in attività. Più che di una squadra, si trattava di un Club di persone che si dedicavano alle attività sportive: cricket e atletica in particolare.
Sappiamo come son fatti gli Inglesi: i loro Club sono “esclusivi”, così alle partite di calcio potevano partecipare soltanto loro.
Ma nel 1897 arrivava a Genova il dottor Misley, un medico che aveva il compito di curare i molti marinai inglesi che bazzicavano il porto. Naturalmente anche lui è appassionato di calcio, ma a differenza dei suoi connazionali, dimostra una maggiore apertura mentale. Si batte perché anche gli italiani possano entrare a far parte del Genoa Cricket and Athletic Club.
Così, nel 1897, nello statuto veniva inserita una norma che ammetteva l’ingresso di soci italiani che andavano così a rafforzare una compagine che già aveva dimostrato di saper giocare un buon calcio.
Sarà questa squadra che l’8 maggio del 1898 vincerà il primo campionato italiano di calcio, durato una sola giornata, con la partecipazione di quattro squadre ( Internaz di Torino, Torino F.C., Ginnastica Torino e appunto Genoa).
Cosa diavolo hanno a che fare questi inglesi con il calcio borgotarese, si chiederà più d’uno?
Vediamo di dare una risposta. Mentre i sudditi di Sua Maestà tentavano, a Genova e altrove, di insegnare il nuovo gioco, c’era chi, già da anni, era andato in Gran Bretagna e lo stava imparando direttamente.
Alla fine dell’ottocento, ultimati i lavori di costruzione della linea ferroviaria Parma - La Spezia, migliaia di valtaresi trovarono nella emigrazione l’unica via per risolvere i loro problemi economici.
Andarono ovunque per il mondo, ma in particolare in Gran Bretagna(Inghilterra, Scozia e Galles). Lì i giovani e le nuove generazioni impararono il gioco e le regole del calcio. Quando ebbero la possibilità di ritornare al Borgo vi portarono la novità. Risultato: già agli inizi del novecento a Borgotaro si giocava al calcio vero e proprio. Non solo, ma dall’Inghilterra e dalla Scozia arrivarono fior di giocatori che entreranno a far parte della leggenda del calcio borgotarese: Dorà, Cabrelli, Giulianotti, Coffrini, Zucconi, Berni, Fugaccia e tanti altri. Così, termini prettamente inglesi entrarono a far parte dello slang borgotarese: ops, corner, bek, half, centr’half, go.
Ecco, quindi, il secondo basamento, lo zoccolo duro del calcio borgotarese di cui parlavamo: l’emigrazione.
E con questo “nobile” e più che dignitoso passato, andiamo a narrare la storia dei primi calci, delle prime partite.


Il Campo di Pareto


 Intorno al 1904, gli Amministratori del nostro Comune con grande oculatezza decisero l’acquisto dell’intero podere detto “Pareto”, posto al di fuori delle antiche mura che ancora cingevano il Borgo. Il terreno in questione si estendeva dal sito ove oggi sorge il Cinema Teatro Farnese fino in fondo all’attuale Via Montegrappa.
Un progetto, approvato dal Consiglio Comunale nel 1911, prevedeva la sistemazione a giardino di una vasta area e la costruzione a margine di un grande edificio scolastico. Si prevedeva inoltre di urbanizzare l’area rimanente e di suddividerla in “34 lotti” di circa 700 mq. ciascuno.
L’iniziativa si completerà nel giro di qualche anno, ma intanto su quell’area pubblica i giovani borgotaresi avevano sistemato due “porte” e cominciato a disputare accanite partite di calcio. Le regole e i termini calcistici erano stati importati da giovani rientrati dall’Inghilterra.
Mitici giocatori di quei tempi furono: Dorà, Berni, Zucconi, Coffrini, Poretti, i fratelli Picelli.
In tutta la valle, era Borgotaro l’unico posto dove si giocava a calcio, così i contatti con altre squadre erano resi difficili dalle distanze e dalla precarietà dei mezzi di trasporto. Per alcuni anni, quindi, i borgotaresi giocarono tra loro. Si trattava di incontri tra celibi e ammogliati, tra frequentatori di bar diversi, fino alla disputa di un vero Torneo dei bar che si svolse nella piana oggi occupata dall’edificio del Liceo.
Nel podere Pareto, infatti, era ormai sorto il nuovo fabbricato scolastico(1915), mentre i soldati del 61° Reggimento Fanteria, aiutati dai prigionieri austriaci, avevano dato inizio ai lavori di costruzione del nuovo giardino che si sarebbe poi chiamato “IV novembre”.

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